L’arte? Una delle tante pratiche umane di un contesto storico-sociale. In un’inarrestabile lotta fra morire e divenire

(di Andrea Bisicchia) In un momento in cui le funzioni dell’arte sono soggette a continue fluttuazioni e scompensi, per l’assenza di una metodologia critico-filosofica da applicare alle forme dell’attività creativa, il volume di Georg W. Bertram, L’Arte come prassi umana. Un’estetica, Cortina Editore, ci offre la possibilità di fare alcune riflessioni su quali debbano essere le sue funzioni e su come inserirle nell’ambito della prassi. Bertram parte da Kant per pervenire a Hegel, Adorno, Menke, Eco, Dato, dialoga con loro, visto che, nei filosofi citati, il rapporto vita arte ha delle connotazioni che, in parte, si somigliano. Se per Kant, l’arte è un mezzo che ci permette di conoscere la specifica posizione dell’essere umano, il quale, però, non può limitarsi ad un semplice giudizio di gusto che, a suo avviso, non è un giudizio conoscitivo, né tantomeno estetico; per Hegel la specificità dell’arte va ricercata nell'”evidenza intuitiva sensibile”, il cui valore consiste nel contributo che riesce a dare alle pratiche storiche-culturali, come a dire che l’autonomia dell’arte deve fare i conti con le pratiche umane, con le quali, aggiunge Bertram, si colloca in una forma di continuità, tanto che la sua potenzialità dipende da essa.
L’arte va concepita, quindi, come una delle tante pratiche umane, mentre la sua praticabilità consisterebbe nel suo rapportarsi ad un contesto storico-sociale, con cui poter interagire. Bertram va alla ricerca di una nuova estetica, rimettendo l’arte nel contesto della prassi, al di là, quindi della sua autonomia. Insomma l’arte non può essere separata dalla vita, essendo la sua attività inserita in una prassi specifica. Anche Simmel era convinto che la vita potesse continuare a vivere nelle forme e che si muovesse tra un morire e un divenire, benché, nella sua inarrestabile lotta, possa infrangere ogni forma.
Prassi vuol dire dialogare col mondo, magari per metterlo in discussione, come sosteneva Adorno, per il quale l’arte doveva funzionare come coscienza critica, non solo dell’individuo, ma anche della società.
L’autonomia dell’arte, pur essendo fondamentale, grazie alla sua specificità e a quello che Bertram chiama “paradigma”, non può fare a meno del contesto in cui opera e del contributo che dà alla prassi, tanto che autonomia ed eteronomia finiscono per coincidere.
L’arte, in fondo, è una pratica, mentre le opere d’arte sono gli oggetti o gli eventi che permettono di fare esperienze specifiche, di metterci in contatto con il materiale utilizzato, sul quale l’artista fa delle riflessioni.
La priorità dell’oggetto può essere determinata anche dalle pratiche dei fruitori, di volta in volta in modi diversi, tanto da rimanerne vincolati.
La differenza tra pratica estetica e pratica quotidiana consiste nel fatto che la prima appartiene all’indeterminato, la seconda al determinato e, pertanto, alla prassi umana e al suo rapportarsi col mondo.
Per Marcuse, la prassi, fondata su una teoria critica, metteva in luce l’inadeguatezza della realtà rispetto alla razionalità.

Georg W. Bertram, “L’Arte come prassi umana – Un’estetica” – Cortina Editore 2017 – pp 182 – € 20.