Lavoro culturale. C’è chi lo ritiene improduttivo. Ma più di sette milioni di occupati facciamo finta che non esistano?

(di Andrea Bisicchia) – Quali saranno, nell’imminente futuro, le strategie necessarie per affrontare e, magari, risolvere i problemi del lavoro culturale, la cui rete si è dipanata e allargata continuamente, creando delle griglie sempre diverse e più sofisticate, mentre nuovi spazi vengono trasformati e utilizzati con prospettive di lavoro nel campo dello spettacolo, suscitando pessimismo in coloro che ritengono il lavoro culturale non produttivo, con una conoscenza, almeno bizzarra, del problema e con assoluta ignoranza dei dati, trasmessi dalla Commissione Europea, sui posti occupati nell’ambito di questo lavoro, che superano i sette milioni e mezzo di lavoratori, con un contributo al PIL non indifferente?
Antonio Taormina, che insegna Progettazione e Gestione dell’attività culturale, nel volume edito da FRANCO ANGELI, “Lavoro culturale e occupazione”, raccoglie sedici interventi di esperti, studiosi, professionisti del settore e fa precedere il testo da una sua Introduzione in cui sintetizza anche gli argomenti trattati, cercando di spiegare la relazione che esiste tra lavoro culturale e occupazione, lavoro che definisce “bene pubblico” e che ritiene insostituibile perché coinvolge una serie di discipline che vanno dallo Spettacolo dal vivo al Design, ad Architettura, al Cinema, all’Editoria, alla Musica, alla Televisione, alla Radio, alle Arti Performative, ai Patrimoni Storico-artistici, discipline di studio che preparano molti giovani studenti al mondo del lavoro culturale.
Si tratta di un sistema produttivo, apparentemente immateriale, dato che si riferisce a vere e proprie industrie culturali messe al servizio del pubblico e che utilizzano il mercato con tecniche di management non dissimili dalle industrie tecnologiche o manifatturiere, con delle prospettive economiche non indifferenti.
La ricerca è stata divisa da Antonio Taormina in quattro parti che riguardano gli SCENARI, con studi indirizzati alle strategie, alle peculiarità, alle norme che regolano il mercato del lavoro culturale, le MAPPATURE che permettono di conoscere le dimensioni, le caratteristiche, l’istruzione, anche attraverso studi statistici, il volontariato, le VISIONI, in cui vengono esaminate le competenze, le ibridazioni, le trasmissioni del sistema produttivo e, infine, il FOCUS sullo Spettacolo, con una indagine sulla materia che riguarda il lavoro su basi previdenziali e normative, necessarie in un settore talmente precario da assoggettarsi a continue riforme, essendo i confini molto labili, soprattutto per quanto riguarda le nuove figure professionali, sempre più bisognose di formazione e sempre più sottoposte a regimi di iniquità e di precarietà, come ha dimostrato la recente pandemia che ha colpito in maniera drammatica i lavoratori dello spettacolo, scesi in piazza con delle vere azioni performative, delle quali, rimane indelebile nella nostra memoria, quella “recitata” nella piazza antistante il Duomo di Milano, con quei cinquecento bauli utilizzati dai tecnici come strumenti a percussione, con l’intento di chiedere al governo nuove regole a livello economico nei casi estremi, come quello pandemico, argomento trattato nel libro in questione.
Antonio Taormina parte dalla crisi del 2008 che si fa iniziare col fallimento della Lehman Brothers, a cui si è ispirato Stefano Massini per lo spettacolo “Lehman Trilogy”, nella messinscena di Ronconi, al teatro Strehler, che difficilmente dimenticheremo, per dimostrare come l’ ”Improbabile” (Nassim Taleb) possa governare la nostra vita.
In quell’anno, il Parlamento Europeo aveva approvato “Lo statuto speciale degli artisti”, implementato nel 2019, dove, per loro, si prevedevano misure e tutele che, a dire il vero, vengono applicate con parsimonia, alimentando il precariato, l’incertezza del futuro, rendendo sempre più incerta la relazione tra istruzione e occupazione, argomento caro all’autore, dato che ne discute in uno dei capitoli del libro, dove ammette la potenzialità dell’istruzione, con riferimento a quella universitaria, ricorrendo a dati statistici, secondo le rivelazioni di AlmaLaurea che riferiscono le percentuali di lavoratori “culturali”, tra tempi determinati e indeterminati. Eppure, sostiene Taormina, va segnalata la mancata coerenza tra percorsi di studio e occupazione, in modo particolare nel campo della progettazione e ideazione per quanto riguarda lo spettacolo dal vivo che, negli ultimi decenni, ha influito molto sul tessuto economico e sociale del nostro paese.
Ci scusiamo per non citare tutti gli autori dei saggi, ne ricordo alcuni con cui ho avuto rapporti, da Cristina Loglio a Renato Quaglia, a Lucio Argano col quale, all’Università Cattolica, ho discusso delle tesi di laurea su alcuni degli argomenti trattati nel libro.

Antonio Taormina (a cura di), “LAVORO CULTURALE E OCCUPAZIONE”, Franco Angeli editore 2021, pp. 226, € 29.