MILANO, mercoledì 8 giugno ► (di Paolo A. Paganini) Elena Arvigo ha la cattiva abitudine di portare in scena donne scomode e situazioni difficili. L’anno scorso ha dato voce e sangue alla figura di Anna Politkovskaja, un “memorandum” teatrale sulla scomoda giornalista della “Novaya Gazeta”, altra donna di cattive abitudini, per essersi impegnata sul fronte dei diritti umani, svelando le scomode verità della prepotenza russa in Cecenia. Con relativo pesante corollario di critiche al presidente Putin. La fecero star zitta per sempre nel 2006.
In precedenza, Elena Arvigo si era interessata a Sarah Kane (4:48 Psychosis), altra tragica, infelice personcina da prendersi con le molle, vinta dalla depressione e morta suicida.
Ora è il turno di Svetlana Aleksievich, scomoda scrittrice bielorussa, sensibile ai temi della povertà, delle ingiustizie sociali, delle violazioni dei diritti umani, premio Nobel 2015 per la letteratura. È autrice di “Preghiera per Cernobyl”, dalla quale la Arvigo ha tratto ora lo spettacolo “Monologhi dell’atomica”, nel quale è riportata anche la sofferta testimonianza di Kyoko Hayashi, una settantenne sopravvissuta all’atomica di Nagasaki del ’45, e che si porta ancora addosso “la radioattività nascosta nel suo corpo, indelebile come una stimmate”. E anche questo è coerente con gli altri scomodi personaggi, nel denunciare l’assurda follia dell’imperialismo americano, pronto a scaricare sul giappone, dopo Hiroshima e Nagasaki, una pioggia di bombe atomiche, fino a minacciare di distruggere e cancellare la civiltà nipponica, se non avessero firmato subito la resa.
Insomma, Elena Arvigo ha la cattiva abitudine di dedicarsi a donne difficili, con l’aggiunta di un’altra cattivissima abitudine, quasi un delitto: far pensare gli spettatori, costringere a riflettere sulle ingiustizie, sul dolore, sulle vittime innocenti della violenza e delle prevaricazioni, sulla civiltà della tolleranza e del rispetto, e, in ultima analisi, sulla verità. E sull’amore e sulla morte, che poi è la stessa cosa.
Questo suo ultimo spettacolo parla di morte. È nello stesso tempo un altissimo inno all’amore, alla dedizione al sacrificio per amore.
Il 26 aprile del 1986 esplose la centrale nucleare di Cernobyl, in Ucraina, il più grande disastro nucleare della storia, con una caduta di radioattività 400 volte superiori a quelle di Hiroshima (vennero contaminati più di 200.000 km quadrati d’Europa, con 600.000 persone esposte a dosi elevate di radiazioni, e con evacuazioni di massa dalle zone contaminate). Tutto questo si sa. Ma “Preghiera per Cernobyl” ispira la Arvigo a una ricerca più interna, più intima, nelle zone dell’anima, fra le pieghe dei sentimenti. Ne emerge una commossa, coinvolgente storia d’amore di due giovani sposi. Lui fa il pompiere. Viene subito chiamato sul luogo del disastro. La sua vita,come la vita di tutti, non sarà più come prima. Nessuno sa cosa sia veramente successo, tutti si espongono alle radiazioni preoccupandosi solo del fuoco e di quel “fumo” inestinguibile (solo “fumo”, dicevano). Ma i pompieri esposti a quel fumo vengono subito trasportati e ricoverati in un ospedale di Mosca, tutto e solo per loro, isolati da un invalicabile cordone sanitario che li isola dal resto del mondo. Ma la donna di quel pompiere non sente ragioni, anche se ora si conoscono le cause di quel “fumo”. Non vuole lasciarlo solo. Riesce a entrare nell’ospedale, a vivere, fin che può, con lui, insensibile al rischio delle radiazioni, indifferente agli ordini dei sanitari…
La storia e la letteratura ci hanno fatto conoscere episodi eroici, appassionati di donne che si sono sacrificate per amore, da Teresa Confalonieri, vissuta all’ombra dello Spielberg per star vicina all’amatissimo Federico, condannato a morte, condanna poi commutata a carcere perpetuo. E la nobil donna Giuditta Sidoli, patriota, amante di Giuseppe Mazzini, che, gravemente ammalato, volle seguire e assistere nel suo esilio a Ginevra (da una lettera di Mazzini: “Sorridimi sempre! È il solo sorriso che mi venga dalla vita”).
Con la stessa passione e tenerezza, al Teatro Out Off, Elena Arvigo, in un’ora e quindici, si dedica al tragico amore dei due giovani sposi della tragedia di Cernobyl, descrivendo lo strazio, la passione, il sacrificio della giovane donna. È un racconto che va sofferto e nel contempo goduto, come un’esemplare dimostrazione di gioiosa dedizione di sé. Oltre la vita. Oltre la morte.
La maschera, la voce, il sorriso e i silenzi sono gli ingredienti della Arvigo, intensa attrice, che avvince in un vibrante gioco di inesauribili sfumature drammatiche. Fornisce peraltro due belle lezioni di teatro: come stare in scena in una recitazione-verità senza trucchi, senza facili enfasi, senza velleitarie mistificazioni registiche; e come fare arrivare la voce… senza l’ignobile e pigro vezzo dei microfonini.
Da non perdere. Si replica fino a domenica 19.
Teatro Out Off, via Mac Mahon 16, Milano
www.teatrooutoff.it