Le eroine di Ibsen? Povere illuse! Credevano d’aver amato uomini eccezionali. E si son ritrovate con delle marionette

collage ibsen(di Andrea Bisicchia) La rilettura di un classico è sempre dovuta a una occasione, trattandosi poi di un saggio dedicato a Ibsen, l’occasione ghiotta mi è stata data da qualche messinscena recente come “Il nemico del popolo” regia di Ostermejer, “I pilastri della società” regia di Lavia o come “Casa di bambola” regia di Andrée Shammah con l’interpretazione di Filippo Timi e Marina Rocco, annunciata per il gennaio  2016.
Mi riferisco a: “Il teatro di Ibsen – Tragedia o commedia?”, nel quale Georg Groddeck dà una visione molto particolare di “Casa di bambola”, “Rosmersholm”, “L’anitra selvatica”, “Spettri”, “Hedda Gabler”, “Il costruttore Solness”, optando più per la commedia che per la tragedia. Per esempio, “Casa di bambola” ne è, a suo avviso, il prototipo più evidente, perché attraversata da una dimensione onirica che  trasporta la protagonista fuori dal tragico, essendo Nora una sognatrice, specie quando sogna di salvare il marito, colpito da una malattia apparentemente incurabile, con la convinzione che il suo sacrificio sarà ricompensato, sogna, inoltre, di poter ereditare le ricchezze del Dottor Rank, prossimo alla morte, per una malattia ereditata dal padre ( tema che troviamo ne “Gli Spettri”) e infine sogna che il marito, in verità, un uomo senza qualità, possa compiere il gesto eroico, tranne accorgersi, alla fine, che i sogni cozzano con la realtà e che una vita costruita su di essi genera solo infelicità. Groddeck sostiene che, per otto anni, Nora sia vissuta accanto a un’idea del “meraviglioso” e che il suo gesto finale non abbia nulla a che fare con la lotta per i diritti della donna, contravvenendo, così, a tante interpretazioni che vedevano in lei l’eroina delle battaglie per l’emancipazione femminile.
Egli poggia la sua lettura su due categorie: il meraviglioso e l’eroismo, categorie che ritroveremo negli altri testi indicati, incarnate, soprattutto, da personaggi femminili, vedi Rebecca West, protagonista di “Rosmersholm”, che fa coincidere l’eroismo con la natura dell’amore e con la legge morale che impone la protezione di noi stessi, anche a costo del ridicolo, altra categoria che Groddeck utilizza per dimostrare che il teatro di Ibsen tenda verso la commedia. Come Nora, anche Rebecca ha creduto nell’uomo che amava, anche lei ha cercato il miracolo, solo che occorreva un sacrificio perché si realizzasse, sacrificio che troveremo ne “L’anitra selvatica” con la giovane Hedwig, che si uccide quando scoprirà che Hjalmar  non era il padre che amava, bensì il patrigno.
Ibsen sembra volerci dire che tutto ciò che è costruito sulla menzogna è la causa prima dell’infelicità; lo è il matrimonio di Edda Gabler, il cui marito è inetto quanto quello di Nora e di Aline Solness che ha sposato un costruttore credendolo un eroe, ma che, alla fine vedrà soccombere, precipitando dal campanile dove era salito per fissare la ghirlanda per far piacere a Hilde, la giovane che si era infatuata di lui. Non lo è da meno il matrimonio combinato della signora Alving, il cui frutto è stato quello di generare un figlio sifilitico, per le malattie del padre.
Si può dire che i personaggi maschili di Ibsen vivano in funzione delle donne e che non possano sfuggire al ridicolo che sta dietro ogni loro comportamento. Sono marionette nelle mani delle donne che credono di amare, ossessionati dalla “casa” da cui, loro, intendono fuggire.

Georg Groddeck: “Il teatro di IBSEN – Tragedia o commedia?” – Guida Editori, 1985, pp.128, € 12