MILANO, lunedì 26 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) – “lo Spettacoliere”, come appare in questa pagina, come se niente fosse, è l’ultima occasione di vedere il nostro giornale on line. Ma è un’illusione, una “fata morgana”, facendo finta che non sia successo niente, come se gli spettacoli qui pubblicati fossero ancora gaudiosamente vegeti e attivi nei rispettivi teatri. Falso. È tutto morto. Si tratta di fantasmi, emanazione d’un sogno o di una fantasia malata, come se il Teatro fosse ancora vivo. E invece è stato ucciso. Per odio? Pregiudizio? Forse solo per ignoranza.
A commento del Dpcm 24 ottobre, contenente, in 12 fitti Articoli, le nuove misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid.19, il presidente Conte, alzando colorate cortine fumogene, solo dopo una decina di capoversi, e in coda a sale giochi, sale scommesse, sale bingo e casinò, ingiunge che “sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto”.
Maledetti attori, vi seppelliremo tutti in terre sconsacrate.
A consolazione, nel frattempo, attori, pubblico, disoccupati, puttane e buontemponi che vadano tutti per musei. Rimangono aperti, sono caldi e confortevoli (con necessari distanziamenti, mascherine e mani sanificate), e, soprattutto, non servono a niente. Philippe Daverio usò la negazione come paradosso. Qualche anno fa, a Bordighera, inaugurò una mostra a Villa Regina Margherita. “La gente va alle mostre, si fa una scorpacciata di quadri, dimenticandoli tutti appena se ne esce. Quando invece dovrebbe frequentare una mostra per avere l’occasione di vedere un quadro prediletto. Studiarselo a lungo. E poi andarsene, sazio felice e soddisfatto…”
Condividiamo. Ma il pubblico, ora ch’è quasi tutto chiuso, bar, ristoranti, cinema e teatri, vada tranquillo a vedersi un museo. Magari scoprirà con la fantasia, di quadro in quadro, che è come al cinema. O a teatro. Un sogno non costa niente. E poi, magari, si renderà conto di amare ancora di più – proprio perché non ci sono più – il cinema e il teatro.
Ma andiamo avanti con il nostro Dpcm, proseguendo per una infinità di commi, capoversi, articoli, leggi e imposizioni. E poi si arriva a un fatale colpo di grazia, inferto a bar e ristoranti. Ore 18. Tutto chiuso.
Conte, in un capolavoro di illogici e incoerenti pensieri in libertà, nel rivolgersi agli industriali, se n’è uscito con questo aureo sillogismo:
“Non si può tutelare l’economia, senza prima salvaguardare la salute dei cittadini”.
E, così facendo, firmava l’atto di morte di migliaia di esercizi (bar e ristoranti), che solo adesso cominciavano a intravedere un’ipotesi di ripresa dopo le precedenti penalizzazioni legislative.
Come dire, secondo un’ipocrita massima di consolatoria saggezza ministeriale: vivere da malati per morire sani!
E poi, commentando l’attuale chiusura, il serafico Conte, in un coro angelicato di incensatori e turibolatori, consolava così gli italiani: “Chiudere adesso per non chiudere tutto a Natale…”, che, come si sa, tra presepi, alberi natalizi, capponi arrosto, bambini trepidanti per l’arrivo di Babbo Natale e vecchi in attesa della camusa, deve per forza essere celebrato. E se, nel frattempo, baristi e ristoratori, cuochi e camerieri vanno alla chetta sul marciapiede dei loro ristoranti, peggio per loro. Tanto avevano già chiuso, no?
Ma, sul disastroso embargo a bar e ristoranti, incaprettati da una vergognosa chiusura alle 18, la proprietaria d’una osteria emiliana, così ha giustamente ragionato, con realistico buonsenso romagnolo: “Sono decisioni che sembrano punire i settori che più hanno investito sulla sicurezza”. Punire? Certo, perché hanno colpevolmente dovuto accettare che qualche migliaio di cretini andasse ad aperitivizzarsi, prima di tornare a casa a contagiare genitori, zii e nonni…
Limitiamoci “alle sale teatrali e alle sale da concerti”, che, come per tanti ristoranti, si sono prodigati in sofisticate tecniche di misurazione delle distanze con certosini studi sulla velocità dello sputo.
Già prima del Dpcm 24 ottobre, tutti i teatri d’Italia si erano ispirati al seguente concetto:
Al fine di assicurare il rispetto della distanza tra gli spettatori, i posti a sedere dovranno prevedere la disposizione “a scacchiera”. Cioè, ogni spettatore in linea di massima troverà libere la poltrona alla sua destra, quella alla sua sinistra, quella anteriore e quella posteriore.
Il ragionamento è affascinante, ma inutile, perché già i precedenti dpcm avevano precisato e imposto che non si sarebbero comunque potuti occupare più di 200 posti per manifestazioni al chiuso e 1000 all’aperto.
A Milano la Scala (2030 posti), a Napoli il San Carlo (1737 posti), o a Venezia La Fenice (1126 posti) eccetera, ciascuno di questi teatri, per esempio, con simili capienze e con un numero così limitato di possibili spettatori (e con il peso di tutti gli inevitabili oneri di legge: tasse, bollette e affitti, stipendi, contratti, paghe a fissi e precari, scuole interne di ballo, di canto e di recitazione, insegnanti, spese di produzione, più l’eventuale costo delle compagnie ospiti, e via enumerando) sarebbe stato fatalmente destinato al fallimento e alla chiusura.
Un disastro, insomma. E allora?
Con indulgente spirito missionario, Conte ha provveduto a togliere loro ogni preoccupazione. Chiudiamoli subito. E amen.
E spettatori e avventori sui marciapiedi bui e deserti stiano in pace. E si consolino, andando a riveder le stelle.
Le ipocrisie della politica governativa: chiudere teatri, bar e ristoranti. E gli impresari? Tutti a dieta: sani, ma in mutande
26 Ottobre 2020 by