Le lettere del riservato Samuel Beckett. Che straordinaria delizia entrare nella segreta officina della sua creatività

(di Andrea Bisicchia) Gli epistolari, in genere, offrono un materiale di prima mano, quello che ti permette di entrare a contatto con gli autori, nel caso di Premi Nobel come Pirandello o Beckett, ti dà la possibilità di accedere direttamente nella loro officina, ovvero in un laboratorio dove, quotidianamente, si sperimentano le giornate di studio o di creatività.
L’editore Adelphi ha appena pubblicato il primo dei quatto volumi contenenti le lettere di Beckett (1906 -1940), scritte tra il 1929 e il 1940, curato, nell’edizione italiana da Franca Cavagnoli, alla quale dobbiamo anche la sistemazione dell’apparato di note dei curatori che aiutano a far luce sulle notizie che, nelle lettere, vengono appena accennate. Il volume è preceduto da una introduzione generale, dai criteri di selezione, dall’uso di più lingue fatto da Beckett (inglese, francese, tedesco) e da una introduzione di Dan Gunn. Personalmente considero gli epistolari le fonti più autentiche dello sviluppo del pensiero e delle opere di un autore, quindi provo un piacere straordinario nel leggerle, specie se si tratta di un autore noto per i suoi silenzi e per l’uso di poche parole come Beckett.
Attraverso la corrispondenza, viene a crearsi una specie di complicità e di solidarietà, non solo tra gli scriventi, ma anche per chi la legge che scopre delle cose inedite, soprattutto, per colui che ne conosce il Teatro completo e ne ha visto tutte le messinscena.
Il primo volume non riguarda il teatro, bensì, il periodo formativo, quello degli insegnamenti, dei saggi critici, su Proust, in particolare, e ancora su Dante, Bruno, Vico, delle poche  recensioni, delle traduzioni, in particolare, dal francese (Rimbaud, Breton, Eluard e altri), delle poesie che inviava da leggere, soprattutto a Thomas McGreevy, l’amico a cui confidava le sue letture preferite: Dante, Machiavelli, di cui legge La Mandragola e la Clizia, Schopenhauer, Leopardi, Joyce, Laforgue, Dostoevskij, Eliot, di cui loda il ritmo e la sintassi che sempre lo incantavano.
Non mancano gli autori ottocenteschi, come Stendhal, di cui legge voracemente “Il rosso e il nero” e “La Certosa di Parma”. Non nasconde gli interessi per la pittura, quella italiana in particolare e per la musica. Mostra di non amare molto Mallarmè, la cui poesia è, a suo avviso, “gesuitica” perché fine a se stessa. La parte più interessante riguarda quella delle vicissitudini vissute durante la stesura e la pubblicazione del suo primo romanzo: “Murphy”, con le risposte negative degli editori che ne apprezzavano la scrittura, ma che lo consideravano troppo innovativo per i loro lettori, fino a quando il testo è arrivato nelle mani dell’editore Routledge che lo manderà in tipografia il 17 dicembre 1937, mentre il 23 viene spedita una pagina campione per l’approvazione. Le prime copie staffetta, per recensioni, verranno inviate dal 15 gennaio 1938. La scheda di presentazione chiarisce, al lettore, il valore del romanzo, il cui significato è “simbolico, mai concreto”, dato che Murphy è un personaggio per il quale: “l’invisibile è il reale e il visibile è un necessario ostacolo alla realtà”. Da una lettera indirizzata sempre a Thomas McGreevy, veniamo a conoscenza che, in due mesi, erano state vendute 240 copie.
Il volume è corredato  da una accurata Cronologia e da una iconografia che completano la conoscenza dell’allora giovane autore.

Samuel Beckett: “Lettere (1929-1940)”, Adelphi 2018, pp 528, € 50.