MILANO, domenica 25 settembre ► (di Carla Maria Casanova) Questa Incoronazione di Poppea l’abbiamo vista alla Scala la scorsa stagione. Chiudeva il trittico dedicato a Claudio Monteverdi (in collaborazione con l’Opera di Parigi) inaugurato nel 2009 con Orfeo e proseguito nel 2011 con Il ritorno di Ulisse in patria.
Lo spettacolo, affidato a Bob Wilson, ha una chiave precisa che varrà la pena ricordare. È scandito innanzi tutto da quelle luci diffuse, surreali, sospese delle quali non per niente Wilson detiene l’innegabile e unica magia. Gli orizzonti di aurore boreali, i notturni compatti.
Scenografia quasi assente: un muro ricoperto dalle radici di un fico (allusione a una natura che insidia le costruzioni della civiltà); il fusto liscio e sinistro di un albero grandissimo, di quelli orientali di cui pullulano le rovine di Angkor. Poi ci sono degli alberelli sparuti e infine un obelisco.
I personaggi, che vestono rigorosi e severi abiti secenteschi, hanno gesti fermati nel tempo e sono fissati in mimiche esacerbate e grottesche, quasi da commedia dell’arte. I protagonisti (cambiati dall’ultima edizione) sono Carmela Remigio (Poppea), Monica Bacelli (Ottavia), Sara Mingardo (Ottone), Leonardo Cortellazzi (Nerone), Giuseppe De Vittorio (la nutrice), Andrea Concetti (Seneca), Maria Celeng (Drusilla), Adriana Di Paola (Arnalta) e sono tutti superbi.
L’orchestra, pur diretta da Rinaldo Alessandrini, uno dei più prestigiosi musicisti italiani, è ridotta ai 13 strumenti dell’Organico Strumentale e Basso Continuo Concerto Italiano.
L’opera, si sa, è di Monteverdi al 60 % e forse nemmeno. Stante la totale perdita del manoscritto originale, è stata assemblata alla meglio con il contributo di sinfonie e cori e duetti di contemporanei e molto, molto recitato. La storia, la si conosce: Nerone, invaghito di Poppea, medita di ripudiare la moglie Ottavia. Seneca lo esorta a ripensarci. Per tutta risposta, Nerone gli fa bere la cicuta e si impalma l’amata. Vecchia storia. Tutto questo, per la durata di tre ore e mezza, salvo l’intervallo canonico di 30 minuti.
Detta così, sembrerebbe da consigliare una completa astinenza dallo spettacolo.
Ma, Signori, c’è il libretto del Busenello.
Questa storia banalissima e trita, viene da lui svolta con tale perizia, modernità, intelligenza, da renderla travolgente. A Poppea, che si crogiola nelle avances di Nerone, la nutrice consiglia:
“Perdi l’onor con dir: Neron mi gode. Sono inutili i vizi ambiziosi!..”
Mentre la vecchia nutrice della ripudiata Ottavia, così la consola:
“Se Neron perso ha l’ingegno di Poppea nei godimenti, scegli alcun che di te degno d’abbracciarti si contenti…”
Invano Seneca catechizza Nerone:
“Signor, nel fondo alla maggior dolcezza spesso giace nascosto il pentimento: consiglier scellerato è il sentimento ch’odia le leggi e la ragion disprezza”.
Ma Nerone: “La ragion è misura rigorosa per chi obbedisce e non per chi comanda. Lascia i discorsi, io voglio a modo mio”.
Seneca: “Cura almen te stesso e la tua fama. Chi ragion non ha, cerca pretesti”.
Nerone: “A chi può ciò che vuol, ragion non manca.”
Seneca: “Siano innocenti i regi o s’aggravino sol di colpe illustri…”
Poppea, all’invano innamorato Ottone: “Chi nasce sfortunato, di se stesso si dolga e non d’altrui. Il destin getta i dadi e i punti attende: l’evento, o buono o reo, da lui dipende.”
Ottone, innamorato di Poppea, finisce per accettare Drusilla, ma: “E pure al mio dispetto, iniquo Amore, Drusilla ho in bocca, e ho Poppea nel core.”
La nutrice Arnalta che sale di rango: “Oggi sarà Poppea di Roma imperatrice. No, no col volgo io non m’abbasso più. Chi mi diede del tu or con nova armonia gorgheggierammi il Vostra Signoria! Io nacqui serva, e morirò matrona...”
Per tutti quei libretti infami del melodramma, questo è un bel riscatto. Da leggere voluttuosamente. Lo ritengo il più grande pregio dell’Incoronamento di Poppea.
Teatro alla Scala, repliche 27, 29 settembre, 1 ottobre