Le riletture delle vacanze. “Cratilo” di Platone. Un dialogo con Socrate. Alle radici della linguistica e della semiotica

cratilo platone(di Andrea Bisicchia) “Cratilo” non è certo uno dei Dialoghi più famosi di Platone, lo è, però, per gli studiosi di linguistica e di semiotica che hanno trovato in esso le origini delle loro ricerche sul valore conoscitivo del linguaggio, sia a livello relativistico che gnoseologico.
A dialogare, oltre che Cratilo, sono Ermogene e Socrate che dovrà cercare un equilibrio sulle due tesi proposte dai due interlocutori, che vertevano sul significato da attribuire ai nomi, ovvero se fossero frutto di convenzioni o se ne rispecchiassero la natura o, per meglio dire, se il nome, che sta alle origini di una struttura linguistica, lo desse la consuetudine oppure la Natura.
Socrate cercherà di dimostrare l’infondatezza scientifica delle due proposte, ricorrendo all’uso della etimologia, soffermandosi su ben 140 termini che riguardavano le divinità, la psiche, il corpo, l’uomo, ma anche realtà cosmiche e fenomeni celesti, cercandone l’essenza, ossia la forma originaria. Ciascuno dei due contendenti difficilmente rinunzia alla propria tesi, benché Socrate ne accusasse l’inadeguatezza. In verità, il problema era molto più semplice, perché bastava capire se la scienza dei nomi corrispondesse, o no, alla scienza delle cose.
Ermogene è convinto che “qualsiasi nome che uno ponga a una cosa, questo sia il nome giusto e che non c’è alcuna cosa che abbia nessun nome da natura, ma dalla legge e dalla consuetudine di coloro che, per essersi assuefatti, la chiamano a quel modo”.
Socrate ribatte che lo stesso discorso possa valere per gli Enti e che “l’essenza delle cose sia propria in particolare ad ognuno”, come dire che l’uomo è misura di tutte le cose, secondo il detto di Protagora. È sufficiente stabilire, sostiene ancora Socrate, che la giustezza del nome consista nel mostrare quale sia l’oggetto? Cratilo risponde: “Come può essere possibile che uno dicendo quello che dice, non dica quello che è?
Il problema si sposta verso l’uso della attribuzione e dell’imitazione, ovvero se l’attribuzione, oltre che giusta, sia anche vera e che lo stesso possa dirsi dell’imitazione, secondo la quale, la somiglianza tra il nome e le cose non corrisponde sempre a verità. Socrate pone l’attenzione sul concetto di “mobilità”, chiedendosi se un termine possa essere soggetto a cambiamenti o debba rimanere immobile, cioè valido per sempre, mentre Cratilo arriva a sostenere che anche per i nomi esista “un potere più alto dell’umano, il quale mettendo i primi nomi alle cose, questi per forza debbano essere giusti”. Il dialogo si fa sempre più serrato e si sposta verso il problema della conoscenza, la quale conosce quel che conosce grazie al suo mettersi in discussione, tanto che Socrate potrà affermare che la conoscenza non esista se ogni cosa muta, infatti per essere conoscenza non deve mutare e quindi abbandonare il concetto eracliteo di “fluidità”, molto simile a quello di “liquidità” di Bauman.
Per l’affermazione di una tesi o del suo contrario occorre semplicemente indagare, conclude Socrate. A questo punto la filosofia diventerà scienza e, quindi, linguistica e semiotica.

Platone ,“Cratilo”, Laterza, p.196, € 9,50