(di Andrea Bisicchia) L’idea di Roberto Mussapi, nella sua edizione in prosa di “Le Metamorfosi”, è quella di immaginare che sia Orfeo, con alcuni suoi discendenti, a cantare una parte delle storie mitiche, oggetto delle “Metamorfosi”, come dire che Orfeo continua a vivere nelle voci dei poeti che hanno continuato il suo magistero.
La riscrittura serve a Mussapi per chiedersi in che cosa consista la differenza tra umano e divino, e fino a che punto l’umano appartenga alla Storia e il divino al Mito. Benché sembrino due continenti separati, entrambi finiscono per incontrarsi, per metaforizzarsi, fino a essere indispensabili alle scienze cliniche che hanno dimostrato come l’uno non possa fare a meno dell’altro, poiché i miti non sono altro che gli archetipi del nostro inconscio, delle nostre trasgressioni, della nostra violenza, condannati, come siamo, a continue mutazioni, essendo la storia dell’umanità, una storia di trasformazioni e di evoluzioni.
L’uomo, dal Neolitico a oggi, è stato oggetto di continue metamorfosi, così come lo sono state le divinità del mito. Ovidio, per raccontarci le avventure e le disavventure del mondo degli dei, dei loro amori scomposti, ha utilizzato ben 15 libri e 12 mila versi, Roberto Mussapi ha raccolto e sintetizzato questa materia e, novello Orfeo, l’ha fatta sua, pur mantenendo le storie originarie. Ne viene fuori un racconto moderno, con protagoniste le antiche divinità, nelle cui storie l’uomo di oggi sembra rispecchiarsi e ritrovare i suoi antenati.
Costruendo un copione, Mussapi fa dialogare una serie di coppie, che potrebbero essere affidate a un attore e a una attrice, raccontandoci le loro sventurate storie d’amore, si va da Deucalione e Pirra, che ripristinano il genere umano dopo che Giove aveva allagato e sommerso il mondo, a Orfeo ed Euridice, alla loro tragica storia, dove protagonista è il canto, al lutto di Ciparisso, invano consolato da Apollo, per aver ucciso, senza avvedersene, un cervo, alla storia omosessuale di Apollo e Giacinto, a quelle di Venere e Adone, di Ippomene e Atalanta, che, per il loro intrigo, fa venire in mente la favola di Turandot, e ancora a quella della madre di Fetonte, che impazzita dal dolore, si butta sui corpi trasformati in rami delle figlie che l’avevano seguita e che, spezzandoli, distillano sangue che si mescola con le parole : “Perché mi strappi? Perché mi ferisci e mi fai sanguinare?, versi che ricordano quelli messi in bocca da Dante a Pier Delle Vigne (Canto XIII dell’inferno): “Perché mi scerpi? Non hai tu spirto di pietade alcuno?”
La verità è che, secondo Mussapi, quando il mondo non ascolta la voce della poesia, precipita nella follia.
Le storie raccontate, tutte d’amore e di morte, quasi un anticipo del canone romantico, ben adatte a una rappresentazione, confermano questa verità, anche se sublimata dal gioco metamorfico che le rende universali, sono storie di dedizione, come quella di Piramo e Tisbe, ripresa da Shakespeare in “ Sogno di una notte di mezza estate” o storie di fughe come quella di Alfeo e Aretusa, storie che vedono i protagonisti trasformati in esseri animali e vegetali.
Il lettore rimane affascinato da questa materia antica, con i suoi risvolti moderni, fatti di alluvioni universali, di stupri, di incesti, di transessualità, che Mussapi racconta come fossero storie di cronaca dei nostri tempi, ben evidenziate dalle 18 Tavole di Mimmo Paladino.
Roberto Mussapi: “Le Metamorfosi” – Con 18 Tavole di Mimmo Paladino – Salani Editore 2012 – pp 168, € 15