MILANO, venerdì 19 gennaio ► (di Paolo A. Paganini) Racconto, storia o favola che sia, simbolo o metafora o crudele e sanguinaria descrizione di una passione malata, di un’anima dannata, o di un giovanile capriccio, la leggenda della principessa giudaica Salomè, da sempre di straordinario impatto immaginifico, trae origine da un episodio narrato nel Vangelo di Marco e nel Vangelo di Matteo, il quale brevemente scrisse: «… la figlia di Erode danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre Erodiade, disse: “Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni Battista”...»
Le figure di Salomè e della madre Erodiade spesso si confondono in una ambiguità ancor oggi irrisolta. Se poi, alle crestomazie, si aggiunge anche la storia di Giuditta, la quale decapitò Oloferne, l’intreccio si complica ancora di più. Cosa che a noi, tutto sommato, non interessa un granché. Salomè rimane il simbolo di tutt’e tre, e basta.
E da qui nacque un’incredibile serie di storie, racconti e leggende, a cominciare dalle iconografie medievali che descrivono il martirio e la santità di Giovanni, fino al famoso quadro cinquecentesco di Tiziano, fino alla descrizione erotica, perversa, sensuale, “angelo e demone caduto dal cielo” di Gustave Moreau, fino al meraviglioso, superbo, scintillante quadro di Klimt.
Il cinema stesso, dal 1908 al 1995, se ne impossessò largamente, con alterne vicende drammatiche. Per non parlare di quella irritante e iconoclasta di Carmelo Bene (anche in versione scenica), che nel 1972, a Venezia, suscitò un violento pandemonio del pubblico spaccato in due, tra insulti e violenze, tanto da essere poi sedato dalle forze dell’ordine, compreso l’esercito (“I veneziani in frac mi sputavano addosso. Io li benedicevo, e loro s’incazzavano ancora di più. Evitai il linciaggio…”).
In letteratura, poi, Baudelaire nei “Fleurs du Mal” diede inizio a un mondiale interesse per Salomè; e Flaubert nel 1877, con la .novella “Hérodias”, ispirato da quadri di Moreau, la impose definitivamente a storiografi e narratori.
Anche il teatro trovò storiche occasioni. Oscar Wilde, nel 1893, scrisse il dramma di Salomè, fanciulla follemente innamorata del profeta, ma non corrisposta, e che quindi, per vendetta, lo fece decapitare. E, per soddisfare infine la propria perversa libidine, baciò la bocca del decapitato (testo duramente censurato e proibito dal bigottismo vittoriano dell’epoca). Poi, nel 1968, fu la volta di Giovanni Testori, in un suo testo fra i più violenti e feroci, con un Giovanni, maledicente come una bestemmia. La sua testa, infine, osceno grumo di carne sanguinante e marcio, divenne, per Testori, metafora dello stesso pubblico, tanto che la testa mozzata non appare mai, ma piuttosto diventa un oggetto di scena, che si alzerà in una specie di percorso parabolico, simbolo d’un novello sole, e dello stresso pubblico (“La testa, voi, sì, voi, lì, uno per uno, voi, la testa, voi…).
E veniamo ai giorni nostri. Alberto Oliva, lavorando sui testi di Oscar Wilde e di Giovanni Testori, ha ricavato uno spettacolo di un’ora e un quarto, senza intervallo, in scena al Teatro Litta.
A voler cercare una chiave di lettura di questo ulteriore allestimento di Salomè, mi sembra di poter distinguere due linee dominanti, a cominciare da un racconto favolistico ed estetizzante. Dal fondale di un grande cerchio, simbolo solare (o lunare) escono i protagonisti, come da un sogno di angeli e demoni (ah, la doppia faccia di Salomè), o come se volete – dal famoso buco di “Stargate”, una “porta delle stelle”, dove s’incontra un immaginario presente tra passato e futuro. Da qui, sulla scena, degrada una scalinata di sei gradini, dove dall’alto in basso, come dal cielo agli inferi, si svolge il dramma della passione di Salomè, che non è corrisposta dal profeta Giovanni, o Iokanaan. E peggio per lui.
Ma, l’aspetto nuovo, e assolutamente originale, di Salomè, bella, levigata e di seducenti ancorché acerbe nudità, come nella danza dei sette veli, suggerisce l’idea di una infatuazione adolescenziale per il bel tenebroso Iokanaan, che, dal profondo d’una segreta, lancia le sue profezie, feroci come bestemmie, contro Salomè/Erodiade (madre e figlia): “Bestia svergognata! Vescica della potenza e del vizio. Cagna della morte…”.
Beh, Giovanni/Iokanaan, profeta e martire, se l’è andata a cercare (“Tu che desideravi il martirio; tu che lo cercavi, come un amante cerca le nudità più dolci e segrete dell’amato” – Testori). E Salomè, con la sua fanciullesca petulanza, incalza Erode, il quale, per non far decapitare Giovanni, le promette ogni bene e ricchezza (e lei insiste: “La testa di Jokanaan”); le offre vesti preziose e gioielli (e lei ancora. “La testa di Jokanaan”); le giura metà del suo potere, addirittura tutto il potere come a una meravigliosa regina (e lei: “La testa di Jokanaan”).
Insomma, per giocare con le parole, Salomè ha perso la testa per quella sua incontenibile, libidinosa passione. E Jokanaan, fuor di metafora, la perse davvero. E intanto, riprendendo il concetto testoriano della testa/sole, che s’alza nel cielo, Salomè, in eterno condannata a quella passione incontenibile e libidinosa, bacia finalmente le labbra desiderate di quel suo sole…
Alberto Oliva, anche regia, ha puntato più su una misterica suggestione, con quella passione di Salomè qui espressa più a parole, e per inconsce pulsioni sessuali, che non per vero ed esplicito tormento dei sensi, con un pudore, che non ricorda certo la terribile e famelica passione dell'”Erodiade”, interpretata nell’84 da Adriana Innocenti, nell’allora Teatro di Porta Romana. Ma non dispiace. Anzi. Anche per una intrinseca poesia, che passa attraverso slanci dell’ancora virginale ma incontenibile passione di Salomè, la quale scopre, attraverso l’affascinante e misterioso Giovanni (interpretato dalla voce fuori campo di Franco Branciaroli), i morsi di una incontrollata e incosciente curiosità (brava e seducente Giovanna Rossi). Di forte impatto la presenza di Mino Manni, un Erode bramoso delle grazie di Salomè. “Danza per me, e ti darò tutto quello che vuoi“, e sappiamo com’è andata a finire.
E, intanto, al Litta, a teatro esaurito, è andata a finire in un tripudio di applausi.
SALOMÈ, di Oscar Wilde / Giovanni Testori. Elaborazione drammaturgica Alberto Oliva e Mino Manni, regia Alberto Oliva – Con Mino Manni, Francesco Meola, Giovanna Rossi, Valentina Violo. Voce fuori campo Franco Branciaroli. Scene Alessandro Chiti, costumi Lella Diaz. Produzione Teatro de Gli Incamminati/I Demoni – Repliche fino a domenica 28 gennaio. – MTM Teatro Litta, corso Magenta, 24 Milano