L’età imperfetta. Storia di due amiche-nemiche alle prese con le crisi dell’adolescenza. In un film mediocre e scontato

(di Patrizia Pedrazzini) In un’anonima città del nord Italia vive Camilla. Diciassette anni, famiglia modesta, è la classica brava ragazza: seria, buoni voti a scuola, sempre pronta a dare una mano in casa. Camilla ha però anche un sogno, al quale tiene tantissimo: diventare una ballerina classica. Per questo frequenta, con impegno, una scuola di danza e si sta preparando all’audizione che le consentirà, forse, di accedere a un’accademia.
Un giorno una sua compagna di corso, Sara, diciottenne, le si avvicina, chiedendole e dimostrandole amicizia. Sara è tutto il contrario di Camilla: disinibita e disincantata, figlia di divorziati, prende la vita con meno serietà dell’amica. E proprio per questo riuscirà ad attrarla a sé e al suo mondo. Ma quella dell’adolescenza è una fase delicata: le prime esperienze, le prime volte, i primi conflitti. Si dice no per dire sì, si dice sì e intanto già ci si pente di non aver detto no. L’amicizia, l’amore, le emozioni, il sesso, la gelosia, tutto è esasperato. Ma com’è che Sara, alla quale sembrava non importare granché dell’audizione, passa la selezione, e Camilla invece no? Chi è Sara? Un’amica sincera o una piccola manipolatrice che ha combinato tutto per tagliare fuori la compagna, obiettivamente più brava di lei?
Glissando per pietà sull’insensato finale, diciamo solo che “L’età imperfetta”, primo lungometraggio di Ulisse Lendaro, non è solo un film mediocre. È anche un film di superficiali pretese. Che vorrebbe, a quanto si intuisce, scavare nei meandri della psiche femminile in un periodo della vita, quello appunto dell’adolescenza, particolarmente fragile e a rischio. Un’idea non originale, ma pur sempre percorribile. Purché non la si stipi di luoghi comuni. Perché non se ne può più di genitori che, o brillano per la loro assenza o, quand’anche ci  sono, non capiscono niente. E purché, magari, non ci si picchi di dimostrare come, per esempio, il seme del male possa attecchire e germogliare in chiunque così, per uno sgarbo, per un equivoco, per un errore di valutazione, per una gelosia fra coetanee. Troppo banale, come meccanismo. Troppo facile la rabbia che si trasforma in vendetta (e quale vendetta!) solo perché l’età è tale da non consentire vie di mezzo. E troppo scontato, anche, ambientare il tutto nel mondo tutt’altro che dorato delle aspiranti ballerine di danza classica.
Nei panni di Camilla, la giovane Marina Occhionero ce la mette tutta, ma il soggetto e la regia sono debolissimi. Per non parlare della “straordinaria partecipazione” di Anna Valle, ingessata maestra della scuola di danza.
E che si eviti per favore il paragone, anche solo lontanamente accennato, con “Il cigno nero”, il film di Darren Aronofsky che nel 2011 valse a Natalie Portman l’Oscar come migliore attrice protagonista. Non è davvero il caso.