(di Andrea Bisicchia) Sarebbe stato difficile ricostruire la biografia di Lilla Brignone, senza le sue confessioni a Giuseppe Grieco che sul settimanale “Gente” aveva un rubrica, a puntate, su personaggi femminili, non solo di teatro, ma anche senza le ulteriori interviste concesse dall’attrice a molteplici quotidiani, prima dei debutti, durante le quali, parlava anche delle sue origini “anomale” di figlia d’arte, essendo stato, suo padre Guido, un regista cinematografico durante il ventennio fascista e i suoi nonni e zie attori di giro, insomma una piccola dinastia.
Chiara Ricci, nel volume: “Lilla Brignone. Una vita a teatro”, edito da Sabinae, ha svolto una ricerca accurata, durata tanti anni, per raccogliere l’immenso materiale, riguardante, soprattutto, le critiche degli spettacoli, tantissime, visto che la teatrografia dell’attrice, nata a Roma nel 1913, è sterminata. Se aggiungiamo quelle della filmografia, degli spettacoli televisivi, delle partecipazioni radiofoniche, ci si potrebbe chiedere di quale altro tempo la Brignone avrebbe potuto disporre, se non di quello caratterizzato dal suo lavoro.
La biografia professionale di un’attrice o di un attore ci permette di venire a conoscenza di notizie inedite rispetto alle ricerche di carattere accademico, aggiungono qualcosa in più al periodo storico che si va ad esaminare, arricchito, a sua volta, dallo spazio dedicato alle messinscene. Lo dimostrano i tanti volumi biografici dedicati alla Ristori, alla Duse, a Ruggeri, Benassi, De Filippo, Gassman, Albertazzi, Parenti, Randone, Ricci, Melato, etc. Le loro storie artistiche rappresentano un’epoca, un modo di fare teatro, di rapportarsi con capocomici o registi, di indicare modi diversi di recitazione.
La Brignone non era certo “l’attrice divina”, tale fu definita la Duse da Cesare Molinari, ma fu sicuramente una grande attrice, secondo la definizione data da Silvio D’Amico. Se la Duse sta a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, la Brignone sta a cavallo tra la prima e la seconda parte del Novecento, avendo avuto l’opportunità di recitare con Ruggeri, Benassi, Cimara, Pilotto e, successivamente, con Santuccio, Randone, Garrani, dapprima diretta da Strehler e poi facendo ditta con Santuccio.
Il libro della Ricci l’ho letto come una specie di romanzo, proprio perché racconta la vita artistica della grande attrice con l’incedere di un testo narrativo, dato che, spesso, viene fuori la donna prima dell’attrice e viceversa. C’è un po’ di tutto in questo racconto, la vita difficile col padre, la nascita di sua figlia, dal primo matrimonio con Dino Di Luca, attore radiofonico, gli amori successivi, compreso quello grandissimo per Santuccio, l’attore genio e sregolatezza che lei accudiva come un bambino. A dire il vero, la vita intima non ha mai determinato il suo modo di recitare, lei non portava in scena ciò che le accadeva quotidianamente, come Santuccio, perché i personaggi che interpretava stavano al di sopra di tutto, li approfondiva in maniera tale da farli coincidere con tutta se stessa. È noto che, quando iniziavano le prove, la Brignone sapeva già tutta la parte a memoria, come dire che il suo processo di immedesimazione era iniziato tanto tempo prima del debutto.
La storia raccontata da Chiara Ricci parte dalla prima scrittura con Kiki Palmer, per arrivare all’ultima con Giancarlo Sepe, a cui si deve anche la prefazione del libro. Ci sono i sette lunghi anni col Piccolo Teatro, a cui seguì la crisi del settimo anno, con l’interruzione consensuale, testimoniata dal breve epistolario con Paolo Grassi, ci sono gli anni autolesionisti con Visconti, in particolare, durante la turbolenta messinscena di “La monaca di Monza” di Testori, c’è il brevissimo periodo con Ronconi che la diresse nella “Fedra” di Seneca, c’è il lungo periodo con Santuccio, con quel gioiello che fu “Danza di morte”, da brividi. Ci sono i quattro anni con Sepe, quelli di “Come le foglie”, “La casa di Bernarda Alba”, la ripresa di “Danza di morte” con Garrani e il “Così è, se vi pare”. Gli osanna, i trionfi, gli articoli esaltanti della critica, soprattutto, di questi ultimi anni, sono stati il tributo che il teatro italiano le doveva, fino a quando non calerà il sipario, nel 1983, che lei avrebbe voluto tenere sempre aperto.
Chiara Ricci, “LILLA BRIGNONE. Una vita a teatro” – Prefazione di Giancarlo Sepe – Edizioni Sabinae 2018, pp 304, € 18