L’immortale “Cyrano” di Rostand, bene Antonio Zavatteri, ma che fatica le voci che non arrivano

collage ciranoMILANO, mercoledì 15 ottobre  
(di Paolo A. Paganini) Tra la letteratura francese e quella russa trascorse, in tempi antiqui, la mia adolescenza. La qual cosa non interessa a nessuno. Ma, storicamente, per molti adolescenti di allora, non ancora travolti da virtualismi telematici e da rapinosi videogames, la letteratura era una vera droga mentale, fabbrica inesauribile di endorfine neuroniche. La Francia soprattutto. Ah, la Francia. La Francia voleva dire Edmond Rostand e Victor Hugo (e poi Anatole France, Lamartine, Dumas… tutto alla rinfusa, in incontenibile voracità di lettura). Ma, su tutti, Rostand, con il suo “Cyrano de Bergerac”, nella bellissima, stupefacente, esaltante traduzione di Franco Cuomo in versi martelliani, o alessandrini che dir si voglia, forma metrica in voga tra il Settecento e i primi del Novecento, da Goldoni a Carducci, a Gozzano.
Donchisciottesco, impavido spadaccino, dispensatore di ceffoni e di stoccate mortali, spavaldo, artefice di bravate truculente, poeta, questo personaggio ariostesco, Cyrano, fu l’ultima espressione dell’eroe ottocentesco, nato da una costola del romanticismo victorhughiano. Dal naso gigantesco e dal cuore di fanciullo, struggentemente innamorato di Rossana, ma teneramente pudico, essendo lui mostruoso e lei bellisssima, e dunque volutamente in disparte, anche perché Rossana gli aveva rivelato d’essere innamorata di Cristiano, bello e cretino. Ma lei lo riteneva bello e di spirito, ingenuamente forse pensando che “al cor gentil rempaira sempre amore”.
Allo spirito di Cristiano provvide dunque Cyrano, scrivendo per lui irresistibili lettere d’amore e dandogli perfino voce alata ai suoi impacciati borbottamenti sotto quel famoso balcone, al quale lui, Cristiano, salì per cogliere “quel giuramento fatto / un poco più da presso, un più preciso patto / una confessione che sigillar si vuole, / un apostrofo roseo messo tra le parole / t’amo...”, mentre Cyrano, nell’ombra della notte, si faceva dolente pronubo di baci e di nozze altrui…
Da più di mezzo secolo non persi una rappresentazione del “Cyrano” di Rostand, sempre versando furtiva lacrima alla sua morte spavalda, quando infine Rossana capirà. Ma troppo tardi. Sipario.
Il milanese Teatro Carcano, di edizione in edizione, è diventato conclamato tempio di questa epica rappresentazione. Già nel 1992, Franco Branciaroli, con la regia di Marco Sciaccaluga, ne diede sonante, memorabile prova. Sempre con la traduzione di Mario Giobbe (nel ’77 Franco Cuomo ne fece per Scaparro una bella traduzione in prosa: ma che differenza con il dolce ed eroico martelliano del Giobbe!). E nel 1991, un anno prima, sempre al Carcano, avevamo visto addirittura Jean-Paul Belmondo, con la regia di Robert Hossein, in una prova bella, ma non esaltante (ben più da delirio quella vista l’anno scorso al Piccolo, nell’interpretazione di Patrick Pineau, regia di Georges Lavaudant).
Ed ora, ancora al Carcano (un paio d’ore più intervallo), con la matrice del Teatro Stabile di Genova, ecco quest’ultima edizione, un po’ vorrei ma non posso, su un impiantito inclinato, fatto a botole (ah, le odiatissime, inflazionate  botole) dalle quali far sbucare o su cui far recitare, in pace o in guerra, per baciare o per morire, i dieci interpreti di una compagnia un po’ disarmonica, soprattutto penalizzata dalla mancanza di voci ben appoggiate, e quindi dispersiva di tanti bei versi del Giobbe.
Il “Cyrano” è anche opera corale a beneficio dei Cadetti di Guascogna e di tutto il resto. I dieci volenterosi interpreti, nella distribuzione dei pesci e dei pani, si prodigano al di là del bene e del male, per esempio, la giovane Sarah Pesca fa Montfleury (oh no), la Governante, Lisa, un Cadetto e Suor Marta, e così via per molti altri compagni d’arme ed eroiche gesta. Ma un plauso di convinto compiacimento almeno dedicheremo ad Antonio Zavatteri, uno strafottente, dolente e generoso Cyrano (finalmente udibile). Tenera, carina e bravina (quando tira fuori la voce) Silvia Biancalana nella parte di Rossana, e almeno segnaleremo (per vocalità) il Le Bret di Roberto Serpi. Alla regia ci si son messi in due, Carlo Sciaccaluga e Matteo Alfonso, ciascuno non rimediando alle manchevolezze dell’altro. Ma il pubblico ci sta e mostra di gradire.
“Cyrano di Bergerac” di Edmond Rostand, con Antonio Zavatteri e Silvia Biancalana, regia di Carlo Sciaccaluga e Matteo Alfonso. Al Teatro Carcano – Corso di Porta Romana 63, Milano. Repliche fino a domenica 26.

TOURNEE

Dal 28/10 al 2/11: GENOVA – TEATRO DELLA CORTE
22/11: FONTANETTO PO (VC)
25/11: CASALPUSTERLENGO (LO)
26/11: STRADELLA (PV)
Dal 27 al 30 novembre MONZA – TEATRO MANZONI
3/12: CITTADELLA (PD)
4/12: PIOVE DI SACCO (PD)
5/12: SAN GIOVANNI LUPATOTO (VR)
14/12: CAVARZERE (VE)
15/12: BASSANO DEL GRAPPA (VI)
18/12: MONTECCHIO (VI)
19/12: SCHIO (VI)