(di Paolo A. Paganini) Verità e diplomazia, savoir faire e schiettezza, sincerità e ipocrisia: sono gli estremi di antagonismi irriducibili. Sono opposti inconciliabili, come il diavolo e l’acqua santa. Sotto questo punto di vista, “Il misantropo” di Molière diventa una paradossale parabola, un colossale paradigma morale, una gigantesca apoteosi della verità, della sincerità e della schiettezza, vissute come un martirio, perché l’integerrimo Alceste, proprio per queste sue esasperate virtù, è visto come il diavolo, anzi come un povero diavolo, in un mondo di cicisbeismi, adulazioni, ipocrisie. E Alceste, incapace di adeguarsi, è visto – ed è – come un insopportabile e un po’ ottuso rompiscatole, un misantropo appunto, inidoneo a farne parte.
Alceste non capisce che l’adorata Celimene è una fraschetta, una maldicente damerina che spettegola e taglia i panni a chicchessia; non capisce che basterebbe poco a fingere che il sonetto propinatogli da Oronte non fa proprio schifo, e così se lo toglierebbe dai piedi; non capisce che, in un processo, è da stolti affidarsi ciecamente al diritto e all’equità, perché un conto è la giustizia, un altro conto sono i giudici… Basta, s’è detto anche troppo di questo “Misantropo”, visto nella sala milanese dell’Out Off. E non vale la pena di dilungarsi oltre anche perché, trattandosi d’una mess’in scena della Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, storica compagnia di celebri sperimentazioni, viene ora offerta un’altra superba prova di geniale manipolazione.
Come s’intuirà, la fedeltà contestuale all’originale diventa qui un pretesto drammaturgico, in bilico fra tentazioni operettistiche, performance di cabaret e stentorei straniamenti da teatro epico. Ambientato in una specie di circo, con pedane semoventi a spinta, al posto delle tigri si esibiscono, in un’ora e quarantacinque senza intervallo, sette attori (voci e chitarre) in abiti barocchi, più lui, Alceste, in completo nero impiegatizio contemporaneo, che non è il domatore ma la vittima sacrificale. Marco Isidori – firma anche la regia – è Alceste, e, in un ensemble di straordinario affiatamento, emerge con la sua straziata umanità di sconfitto, un sofferto Don Chisciotte, conscio della propria incapacità di vivere in quel (questo) mondo di ciniche ipocrisie, e tuttavia incapace di adeguarsi.
In una bella (e non so quanto ingenua) dimostrazione di affascinante ed accattivante teatralità, Isidori non riesce a trattenere, usando solo il labiale, le battute dei compagni, quasi a volerli psicologicamente sostenere nelle innegabili difficoltà di un testo martoriato ma sempre di adamantina fascinazione e dalle tante sovrapposizioni di novella inventiva.
Insieme con Marco Isidori, alla fine, sono stati calorosamente salutati tutti gli interpreti, bravi e generosi, che almeno nomineremo nell’ordine della locandina: Virginia Mossi, Paolo Oricco, Maria Luisa Abate, Lauretta Dal Cin, Valentina Battistone, Stefano Re, Giacomo Simoni. Una giusta segnalazione anche alle singolari scene e costumi di Daniela Dal Cin.
“Misantropo”, con Marco Isidori, anche regia. All’Out Off, via Mac Mahon 16 – Milano. Repliche fino a domenica 13 aprile.
Tournée
Teatro Alfa di Torino, dal 6 all’11 maggio.
Il prossimo autunno, al Teatro Vascello di Roma (in date da definire nel mese di novembre
L’incapacità di vivere d’un ingenuo “misantropo” nell’immenso circo delle ipocrisie molieriane
9 Aprile 2014 by
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