(di Carla Maria Casanova) “Die Entführung aus dem Serail” (Il ratto dal serraglio) di Mozart in scena alla Scala è spettacolo antico. Leggendario. Nato al Festival di Salisburgo nel 1965 con la direzione di Zubin Mehta (allora 29enne), fu ripreso nello stesso festival per otto volte. Alla Scala arrivò nel 1972 (ripreso nel 1978 e 1994). Se lo ricordano in molti. (Chi poi è fortunatissimo, e anche un po’ vecchietto – io purtroppo non abbastanza – ricorda anche quello scaligero del 1952, con Maria Callas non ancora mito ma già sensazionale come Costanza.)
Fermiamoci all’ultimo: regìa di Giorgio Strehler, scene e costumi di Luciano Damiani, ai quali, appunto, lo spettacolo è dedicato, nei vent’anni dalla scomparsa di Strehler e dieci da quella di Damiani.
È una di quelle messeinscena linde e innocenti, giocate sulle “ombre cinesi”, silhouettes controluce del teatro del ‘700, personaggi irreali, piatti ma che poi, quando escono dalla striscia d’ombra presso la ribalta, atta a farli diventare neri, si evidenziano nella loro natura e diventano persone reali. L’azione è volutamente artificiosa, con camminate a saltelli, gesti da commedia all’italiana, burattineschi. Strehler crea macchiette: il guardiano dell’harem, Osmin, con il classico turbantone e il pancione smisurato, lo schiavo muto che agisce con la mimica, persino Pedrillo ha gesti costipati.
Siccome il Ratto, come il Flauto magico, è un singspiel, è tutto un intercalare di arie e parlato. Magari un po’ noiosino, alla fin fine. O forse perché lo spettacolo, che tanto ci incantò con il suo cielo immenso e le sue amabili cineserie, ha perso freschezza.
Dice Mattia Testi, che ha ripreso la regìa, di non aver mai lavorato con Strehler e quindi di averne interpretato le idee senza la consolazione del suo avvallo. Infatti qualcosa non c’è più. Mehta ricorda di essere cresciuto con quest’opera (diretta a memoria, fin da allora) ma che allora ne aveva curato solo l’aspetto musicale, mentre adesso si è addentrato (forse un po’ distrattamente?) nello spirito dei personaggi. Personaggi, oso dire, di non travolgenti passioni, secondo (escluso don Giovanni) il target mozartiano.
La storia è simile a quella dell’Italiana in Algeri (più spiritosa, però, l’opera rossiniana). Qui la morale consiste nel far risultare il temuto pascià Selim un potente dal cuore d’oro. Basti pensare che costui decide che, per farsi veramente amare, l’unica soluzione sia di concedere all’amata di partire tra le braccia del suo (di lui) mortale nemico. Islam, sì, ma più Vangelo di così non si potrebbe. Erano tempi in cui riabilitare la fama dei feroci saladini era gioco politico che tornava bene.
Gli interpreti sono di stretta osservanza mozartiana per quel che riguarda il canto; la recitazione ha invece un piglio alla Gassman. Del cast, il più egregio è Cornelius Obonya (Selim) nato da una celebre famiglia di attori viennesi. È anche regista e lo sarà alla Scala, insieme alla moglie, per il Pipistrello in programma nella prossima stagione. Selim non ha musica per sé, resta un personaggio isolato nella sua gran potenza (vedi Filippo II, “Ella giammai m’amò”) e si redime solo con quell’ultimo – improbabile – nobile gesto. Lenneke Ruiten (Costanza) esegue alla perfezione la sua grande aria con altissima coloratura (un po’ freddina, se vogliamo). Più vispa la servetta Blonde, la Zerbina di turno, cantata dalla francese Sabine Devieilhe, che già spopola all’Opéra come la grande del futuro (ha in repertorio la Regina della Notte, Lakmé, La fille du régiment e ruoli del genere…) Alla Scala, l’applauso spontaneo più caloroso. Mica sempre il pubblico sbaglia. Il giovane Mauro Peter è Belmonte e l’ancor più giovane Maximilian Schmitt (qui Pedrillo) solitamente alterna questo ruolo a quello di Belmonte.
Allora: tutto bene. Ma quand’è che arriva l’Aida?
“Die Entführung aus dem Serail”, di Wolfang Amadeus Mozart. Nel ventennale della scomparsa di Giorgio Strehler e nel decennale della scomparsa di Luciano Damiani. Teatro alla Scala. Ultime repliche: 21, 27, 29 giugno, 1 luglio.
E SUBITO DOPO “IL RATTO”, IL COMMENTO A CALDO E UN RICORDO
DELL’ATTORE STREHLERIANO UMBERTO CERIANI (da face Book)
Grandiosa serata alla Scala per “Il ratto dal serraglio”! Quanti e quanti amici invitati da Lanfranco a festeggiare il nostro maestro Giorgio e il suo sodale Luciano! Il Piccolo e La Scala sono allacciati in fratellanza d’arte da quel 14 maggio 1947, quando sul palcoscenico del Piccolo, prima dello spettacolo “L’albergo dei poveri” di Gorkji, l’orchestra della Scala suonò “Eine kleine Nachtmusik” di Mozart, per dare il benvenuto al Teatro fratello, che quella sera inaugurava la sua attività. Signori, questa è Milano, quella di ieri e quella di oggi. Ne siamo orgogliosi.
Umberto Ceriani
18 giugno alle ore 0:22