L’interprete: rendere visibili le energie creatrici dell’autore. Il giurista: ma la legge è un’altra cosa con tutti i suoi garbugli

4.7.16 andrea(di Andrea Bisicchia) Racconta il mito che, per conoscere in maniera chiara il pensiero divino, fosse necessario l’intervento di Hermes che , facendo da tramite, lo interpretava per gli esseri umani. Poiché il mito appartiene ai nostri archetipi, come ci ha lungamente spiegato la psicoanalisi, anche l’ermeneutica la si fa risalire al dio messaggero e va intesa come l’arte di interpretare, di tradurre, di spiegare. Per i filosofi antichi, essa equivaleva a interpretazione della realtà, solo successivamente, nel periodo ellenistico, la parola fu sinonimo di filologia, ovvero di interpretazione della lingua dei classici.
Nel Novecento, l’ermeneutica ha vissuto una stagione straordinaria, tanto che, alla fine, tutto veniva ridotto a interpretazione della interpretazione. In un volume appena uscito presso il Mulino, di Mario Brunello e Gustavo Zagrebelsky, che riprende la formula del dialogo platonico: “Interpretare. Dialogo tra un musicista e un giurista”, il discorso si sposta verso la personalità dell’interprete, delle sue conoscenze e capacità tecniche, quindi, verso il rapporto tra creazione ed esecuzione, tra testo e realizzazione, per andare alla ricerca dei vari significati che sottostanno al concetto di interpretazione declinato in: eseguire meccanicamente, improvvisare, leggere filologicamente, esibire le proprie qualità.
Un fatto è certo: un’opera d’arte, sia musicale che letteraria, teatrale o giuridica vive una sua particolare eternità grazie all’interpretazione che, a sua volta, richiede conoscenza, disciplina, tecnica, rigore, perfezione, dato che il compito di chi interpreta è quello di rendere visibili le energie creatrici dell’autore, tanto che la sua figura risulta necessaria per capire cosa sia accaduto in questo tragitto, ovvero se l’esecuzione sia stata capace di interpretare il sottotesto, ovvero quel che c’è di misterioso, di indefinibile all’interno di un classico.
Per Brunello, uno dei nostri maggiori violoncellista, non esistono parole destinate a rimanere quelle che sono, perché esistono soltanto le interpretazioni che possono essere, alcune volte, di tipo filologico, mentre, altre volte, possono esprimere la cultura, la personalità, la fantasia dell’esecutore, tanto da poterlo ritenere un secondo autore.
Per Zagrebelsky , noto giurista, professore emerito di Diritto Costituzionale, interpretare la Legge è un po’ più difficile, perché il campo del Diritto non ammette improvvisazione, così come non ammette l’uso di un filologia esasperata, con eccesso di annotazioni, oltre che di virtuosismi retorici, resi incomprensibili da garbugli a cui ricorrono i legulei, gli azzeccagarbugli di manzoniana memoria. L’illustre giurista ricorda la filastrocca che Lorenzo da Ponte mette in bocca a don Bartolo nelle “Nozze di Figaro”: “Se tutto il codice dovessi volgere, se tutto l’indice dovessi leggere, con un equivoco, con un sinonimo qualche garbuglio si troverà”.
Come non ricordare a questo proposito, la difesa di Antonio da parte di Porzia nel “Mercante di Venezia”, tutta costruita sulla lettura formale della legge? Come ha dimostrato Gadamer, interpretare significa ricercare una “distanza temporale” tra testo e interpretazione, quella che Brecht aveva realizzato con la distanza epica. A fine lettura, di una cosa si è certi, che l’interpretazione non vuol dire stupire, provocare a tutti i costi, oppure meravigliare, perché in simili casi, tradurre vorrebbe dire tradire.

Mario Brunello, Gustavo Zagrebelsky, “Interpretare. Dialogo tra un musicista e un giurista” Il Mulino, 2016, p.144, € 13