L’invidia blasfema del mediocre Salieri per l’odiato Mozart, sguaiato e volgare, ma inarrivabile genio di divina bellezza

collage amadeusMILANO, venerdì 9 gennaio   
(di Paolo A. Paganini) Dal celeberrimo film (8 Oscar) di Milos Forman (1984) e da una non meno bella edizione teatrale con Umberto Orsini, Giuseppe Cederna, Valentina Sperlì, regia di Mario Missiroli (1987) sappiamo che “Amadeus”, testo teatrale di Peter Shaffer (1978), è la storia (pura fantasia poetica) dell’odiosa e mortale invidia di Antonio Salieri, musicista di Corte a Vienna, per il più dotato Wolfgang Amadeus Mozart, che sarebbe perfino stato avvelenato dal compositore veneto. Salieri, così facendo, avrebbe alla fine imprecato (sempre nella finzione): “Se non per la fama sarò ricordato per l’infamia…”.
Il dramma di Shaffer, anche se la verità storica va a farsi benedire, è stupendo.
I due piani portanti dell’opera si dichiarano subito da soli.
Il primo piano di lettura è il rapporto Salieri-Mozart alla Corte di Vienna: la mediocrità contro il genio, il duro lavoro di schiena e di cesello contro la leggerezza e la facilità di un genio toccato da una scintilla divina; una vita votata alla virtù e al sacrificio contro un volgare libertino, sguaiato, scanzonato, irrispettoso, osceno fanciullo mai cresciuto, coprolalico, compulsivo, incontinente adoratore di ogni istinto materiale, eppure ingenuo e in possesso di una angelicata semplicità. Che poi sapeva tramutare in divine armonie, in esaltanti composizioni, in divine melodie di alta e sublime spiritualità.
Il secondo piano di lettura è il blasfemo patto d’un Faust alla rovescia, che, anziché contorcersi in Satana, si rivolge direttamente a Domineiddio, ch’è un po’ più potente di qualsiasi Mefisto. Pressappoco Salieri fa un patto di questo tipo: “Tu, Signore, dammi il dono della musica, dammi il genio, e io ti prometto che mi farò artefice della tua gloria presso le umane genti per tutta la vita che mi concederai”. E il Signore gli ha dato, sì, il dono della musica, ma il genio l’ha invece riservato per quel piccolo insignificante irrispettoso Mozart. Massima, insopportabile ingiustizia. La letteratura ha preclari esempi di “ingiustizie” divine, il metro imperscrutabile del Signore è diverso da quello degli uomini. Per esempio, la prostituta, peccatrice Taide (di Anatole France) muore redenta in purezza e santità di spirito, mentre il virtuoso monaco Pafnuzio, divorato dalla fede, dall’amore di Dio, e da una passione salvifica e redentrice, si danna per l’eternità. Amen.
Veniamo dunque a questo “Amadeus” (Mozart) visto al Teatro Elfo Puccini, in due tempi di un’ora ciascuno. Il titolo, come già è stato notato, dovrebbe essere incentrato su Salieri. Ma è una questione di poco conto. Il testo, dicevamo, ha una struttura sublime. Non scopriamo niente. Ma la recitazione, ch’è sempre difficile imbroccarla, qui è semplicemente scintillante, entusiasmante. Da una parte, dunque, c’è lo sguaiato monello, Mozart, senza rispetto per niente e per nessuno (ah, come vittimizza e umilia il povero Salieri: “Sì, sì, ho sentito la sua ultima opera, ma perché, quando sporca, poi non pulisce?”, e così via). Una bella sorpresa l’incontenibile, irrefrenabile interpretazione di Aldo Ottobrino! E dall’altra parte c’è l’austero, ieratico, luciferino Salieri, che, anche se non avvelenerà materialmente il povero Mozart, ormai abbandonato da tutti, specie dopo il tradimento massonico del “Flauto magico”, lo avvelenerà moralmente, facendogli il vuoto intorno, portandolo alla disperazione, alla morte.
Salieri è interpretato da Tullio Solenghi, attore brillante, se non comico, che amiamo e stimiamo da tempi immemori, ma qui, come attore drammatico, ci ha tolto il fiato dal piacere, dall’ammirazione, dallo stupore per la sua performance di drammatica e patetica potenza espressiva. C’è nella sua interpretazione una non sprecata e manifesta indicazione didattica a rappresentare tutto il marcio possibile di un’anima invidiosa, meschina, cattiva, e tuttavia di successo. Se ne può ricavare una morale. Apodittica espressione della malvagità, eloquente metafora universale senza tempo di come il successo sia sempre raggiungibile anche senza genio. Basta saperci fare. Qualche ipocrisia, qualche leccata, e il gioco è fatto. Qui, lui, attore genovese, costruisce un Salieri veneto senza cedere al macchiettismo, al comico. Ma si eleva in ogni battuta a un’ironia che ammicca sempre all’intelligenza. S’imbruttisce, coraggiosamente, dentro e fuori, e costruisce un Salieri che rimarrà nella memoria.
Intorno a lui, con la corretta, rispettosa regia di Alberto Giusta, citeremo Arianna Comes, nel ruolo della moglie Costanza, tenera, generosa e semplice (se non sempliciona), sempre “prona” a soddisfare i capricci e le monellerie di Amadeus; e poi: Roberto Alinghieri, Davide Lorino, Elisabetta Mazzullo, Andrea Nicolini, e gli altri.
Successo strepitoso alla fine per tutti.

“Amadeus”, di Peter Shaffer, regia di Alberto Giusta. Al Teatro Elfo Puccini. Corso Buenos Aires 33, Milano – Repliche fino a domenica 18 gennaio.