MILANO, giovedì 5 maggio ► (di Paolo A. Paganini) Quanto più un manufatto, o qual che sia opera d’ingegno, è imponente e di complessa fattura, tanto più si presta a ingegnosi smontaggi per ricavarne singole parti, frantumati tasselli, brandelli e sparuti testimoni di storie gloriose. Tele d’artisti tagliuzzate ad arte e rivendute da famelici mercanti. Il Colosseo, nei secoli smontato, saccheggiato e, di pietra in pietra, utilizzato per ville e palazzi di notabili e riccastri romani. Grandi opere letterarie smembrate per ricavarne novelline, raccontini, aggraziati aforismi. E, ancora, organici capolavori di teatro, anatomizzati, sbocconcellati, riadattati, rielaborati a capriccio di registi di frustrate vocazioni. Shakespeare è stato tra i più torturati. Ma è sempre sopravvissuto. Tutti i classici, tanto o poco, con la scusa di quel provvidenziale paracleto che tutto copre e salvifica, che va sotto il nome di “ricerca”, sono stati tagliuzzati per ricavarne vestine più corte e striminzite ad uso di fruitori di bocca buona e di miseri bisogni intellettuali.
Tutto questo in generale.
Poi ci sono anche tante oneste riduzioni da Reader’s Digest di dignitosa fattura. Tra queste assegneremo, con riserva, una posizione di decorosa accettazione alla “Lisistrata” (411 a. C.) di Aristofane, in scena al Carcano.
L’operazione è di per sé sbilenca e squinternata, ma con una minicompagnia di “quattro-attori-quattro” non si poteva certo pretendere che venissero coperti tutti i ruoli previsti dall’originale, cioè, oltre alle cinque donne protagoniste, un Coro di Vecchi, un Coro di Vecchie, un Commissario e Arcieri Sciti, altre cinque donne in ordine alfabetico dalla A alla E, Fottino (il povero marito arrapato di Mirrina), un Araldo e Ambasciatori spartani, e poi Servi e Cittadini… E poi il pubblico ateniese: a sganasciare a crepapelle, in quella polis che già denunciava il suo tragico declino politico militare. Aristofane, l’acuto, l’appassionato, il libero e spregiudicato pensatore, castigava ridendo. E con questa licenziosa “Lisistrata”, si ride (ma quanta amarezza ci sarebbe da estrarre da dietro l’apparenza godereccia). Il testo è infarcito di doppi sensi ed esplici riferimenti agli organi maschili e femminili, descrivendo stracci d’uomo d’organi priapeschi e donne in fregola, ricorrendo a tutta una possibile nomenclatura dell’ornitologia, della falegnameria, del commercio, dell’anatomia… (uccello, passera, piuolo, palo, asta, un affare grosso e lungo, chiappe, ghianda, pinco, foro…). Ma Aristofane sarebbe anche altro. Nei quasi cinquanta titoli tramandati (solo 11 commedie ci sono giunte) c’è satira, ironia, denuncia, parodia. Non era un porcello da variettistico avanspettacolo per burbe e militari in libera uscita. Eppure, così, spesso lo si vuol far passare. Ed anche adesso se ne esce di teatro con questa impressione (ma i maturandi presenti in sala si rileggano il testo). E poi il tragico e mortuario finale, imposto ora da una regia d’invasato e pietoso amor patrio contro la guerra, per me assolutamente incomprensibile.
Ma è un allestimento che, pur nei suoi limiti strutturali, merita qualche attenzione. In due tempi di 45 minuti ciascuno, sono state estrapolate le parti più pruriginose, esplicite ma contestualmente rispettose (accompagnate da acconce musiche da “Cabaret” di Fosse,con Liza Minnelli, da Kurt Weill dell’Opera da tre soldi, etc). Ne è sortito uno spettacolino tra il cabaret e il burlesque con qualche pretesa, anche se si propone soprattutto di solleticare la pancia degli spettatori, come tanto italico cabaret degli anni passati.
La storia è conosciuta. Le donne, capitanate da Lisistrata, riunite in assemblea e rinserrate sulla rocca dell’Acropli, rifiutano ai loro uomini di far sesso, finché non smettano di giocare alla guerra (la guerra del Peloponneso fra Sparta e Atene). A nulla servono suppliche e minacce. Loro, niente, non gliela danno, e basta.
Lisistrata è interpretata da Gaia De Laurentiis, attrice, conduttrice e presentatrice TV, molto dotata sul piano drammatico, qui generosa ma forse poco adattata al ruolo aristofanesco. Al suo fianco, Stefano Tosoni e Gian Paolo Valentini, che si prodigano in tutte le altre parti, maschili e femminili, Coro etc, e dando voce e movimento a otto pupazzoni, muti ma scenograficamente interessanti. Stefano Artissunch, bella presenza, voce possente (anche regia), fa da padrone di casa, narratore e “maestro di scena”. Pubblico non numerosissimo e disponibilissimo a sbellicarsi. Si replica fino a domenica 15.
“Lisistrata” di Aristofane. Ma è più profonda della sua licenziosità. Cosa non si fa per compiacere le umane genti!
5 Maggio 2016 by