Lo smisurato amore di Giovanni Testori per la sua Milano. E il gran lombardo è celebrato al Franco Parenti e all’Out Off

MILANO, mercoledì 27 marzo ► (di Paolo A. Paganini) Che affascinante laboratorio di idee, officina di laboriosità, inesauribile fonte d’arte e creatività: Milano. Già, ma quale Milano? Il plauso e la commozione vengono solo dal passato, dalla sua retorica, dalla poesia, dalla nostalgia? In un certo senso, sì, rimemorando l’alone di un’altra umanità, di altre vie, altre piazze e quartieri, Porta Cicca e la Bovisa, o la Baia del Re al quartiere Stadera sul Naviglio Pavese, o el Carrobi e la via Brisa. E quando il vecchio tram, il primo tram, era detto el Gamb de Legn. Quando insomma si cantava “Lassa pur ch’el mond el disa, ma Milan l’è on gran Milan… e a Milan gh’è el navili e poeu puu…”, inno all’orgoglio meneghino di Giovanni D’Anzi.
Non era ancora la Milano della moda e della ristorazione. Era la Milano del popolo, del popolino, della mala, dei poveri diavoli che tiravano la carretta in fabbrica o a bottega, e degli sfaccendati, delle prostitute e dei ragazzi di vita, dei ladri e dei macrò con licenza di ricattare e anche di uccidere, ma anche dei campioni sportivi, e dei nuovi torbidi ricchi…
Stiamo parlando di Giovanni Testori (Novate Milanese 12 maggio 1923 – Milano 16 marzo 1993).
Non ne parliamo per chi sa quale ricorrenza genetliaca, ma per lo straordinario recupero di sue opere, saggi, monologhi e commedie, ai quali stiamo assistendo, in una amorevole testimonianza di ritrovata milanesità, di radici non ancora del tutto dimenticate tra snobismi modaioli e quattro stracci d’imparaticci anglicismi che stanno ormai prevalendo sui miseri lacerti d’un glorioso e agonizzante dialetto.
E Giovanni Testori, con il suo assoluto e febbricitante amore per Milano e le sue periferie, per i suoi ponti della Ghisolfa, per le nebbie del Giambellino, per le sue Arialde e Marie Brasca e Gilde del Mac Mahon, per le sue Monache di Monza, e per Rocco e i suoi fratelli, per i fabbriconi, per i grigi palazzoni di Roserio. E perfino per le Ferrovie Nord, sopportando caritatevolmente gli afrori e i sudori dei rigurgitanti vagoni nei suoi brevi viaggi tra Novate e Milano, facendo attenzione ai tanti modi di dire e alle sboccate volgarità dei forzati del pendolarismo.
Ed ecco nascere, con uno smisurato amore per Milano, la sua straordinaria invenzione di una nuova lingua lombarda, tra arcaismi, commistioni di latino, francese, anglofonismi, in un formidabile santuario di lingue vive, morte, nascenti e moribonde, in bocca a prostitute, ragazzi di vita, poveri diavoli, tra “scandalose” oscenità e tematiche omosessuali.
“Il gran lombardo” non è solo Carlo Emilio Gadda, che ha segnato la letteratura del Novecento con i suoi sbalorditivi miscugli di linguaggi, dialetti, neologismi tecnici e gergali. O non è solo Dario Fo, con il suo esilarante uso del gramelot, tra parole e fonemi onomatopeici, privi di significato.
Il “gran lombardo”, per coerenza e fedeltà, è fra tutti e più di tutti, Giovanni Testori.
Ed ora, mentre al Teatro Franco Parenti, tempio per antonomasia di Testori, si sta recitando “I Promessi Sposi alla prova” con la regia di Andrée Ruth Shammah, al Teatro Out Off è andato in scena l’ultimo atto della sua “Trilogia degli Scarrozzanti”, esasperato laboratorio linguistico, composto da “L’Ambleto” (1972), “Macbetto” (1974) ed “Edipus” (1977).
Ecco dunque il brevissimo monologo “Edipus” (50 minuti), sostenuto con onesta aderenza, e desiderio di spettacolarità, da Roberto Trifirò, che s’è firmato anche come regista. In scena rappresenta l’ultimo guitto, l’ultimo scarrozzante, o “scarozzante” poeta, ormai abbandonato da tutti. Le sue disperate parole suonano come un delirante e provocatorio grido di dolore, in un paradossale conflitto con il Padre, tutto negando e tutto ricercando, da Dio al Teatro. Repliche all’Out Off fino al 19 aprile.
E la creatività di Testori qui concluderà la sua epopea, la sua stupefacente magia linguistica, estrema e straziante, nell’ultima sublimazione della sua prima Trilogia.
Poi, dal 1978 al 1981, verrà la seconda Trilogia, “Conversazione con la morte”, “Interrogatorio a Maria” e “Factum Est”. Ma sarà un altro discorso, in una liturgia del teatro, anche con il teatro in chiesa, come preghiera collettiva, come Sacra Rappresentazione.
Poi, verso la fine, nel 1992, sarà pubblicato il lacerante e desolato romanzo “Gli angeli dello sterminio”, dove Testori descriverà una Milano di straziante ed estrema desolazione. La Milano della Ghisolfa, della bicicletta del dio di Roserio e della vecchia mala stava ormai scomparendo.
E, alle Varesine, al posto delle giostre ormai al tramonto, sarebbero apparsi i grattacieli d’una nuova Milano. Della Moda e della Ristorazione.