(di Andrea Bisicchia) – In molte delle Piazze delle città d’Italia, esistono dei ferri vecchi che sono stati comprati dalle Amministrazioni come opere d’Arte, anche se danno persino fastidio a chi li vede.
Al contrario, c’è un’opera d’arte che appartiene alla Storia del Teatro e della Psichiatria, “Marco Cavallo” di Giuliano Scabia, che il Comune di Muggia vorrebbe distruggere, a dimostrazione della ignoranza di molti nostri sindaci che poco sanno della Legge Basaglia e dell’apertura della psichiatria all’ascolto dei malati, come dire che una civiltà senza la potenza dei suoi simboli è destinata a perire.
A Giuliano Scabia (1935- 2021) Massimo Marino ha dedicato un volume, edito dalla Casa Husher, “Il poeta d’oro. Il gran teatro immaginario di Giuliano Scabia”, d’oro perché, con la sua passione irrequieta, illuminava ogni cosa, proprio come “Fedra, la luminosa” (Nadia Fusini) che ammantava di luce la sua passione per Ippolito.
Il volume è frutto, non solo della conoscenza, delle collaborazioni (essendo stato l’autore anche allievo), ma anche della sua possibilità di avere avuto accesso ai 400 faldoni che ha potuto consultare. Chi si occupa di storiografia teatrale non può, certo, disconoscere l’apporto determinante di Scabia a quella rivoluzione che, tra gli anni “Sessanta-Settanta, fu persino anticipatrice di certi movimenti sessantotteschi, quando si cominciò a ritenere esaurita la forza vitale degli Stabili che, per circa un ventennio, avevano deciso quali dovessero essere le sorti del teatro italiano, ma che comincia a scoprire delle falle, finendo per darsi l’ultima chance col ricorso a un estetismo di maniera, in sostituzione dell’estetismo critico delle grandi regie di Strehler, Squarzina, De Bosio, etc.
Giuliano Scabia fu tra i primi ad avvertire questa crisi, tanto che, come primo emendamento, propose di portare il teatro fuori dal palcoscenico tradizionale, per creare un teatro di relazione, itinerante che abbandonasse ogni esigenza estetica, per sostituirla con una necessità partecipativa a sfondo sociale e comunitario. Alla crisi degli Stabili corrispondeva la crisi del boom economico, la politica era in fermento, come, del resto, le varie espressioni artistiche sempre in cerca di nuovi linguaggi che le mettessero al pari coi tempi. Giuliano Scabia, che lo aveva intuito, fece sentire la sua voce, non solo nei centri o nelle periferie cittadine, ma anche nelle scuole, negli ospedali psichiatrici, nei Festival, scrivendo testi, dialogando con la gente sana e con quella ammalata, facendo ricorso a una specie di teatroterapia.
Massimo Marino ha raccontato questa avventura, dimostrando come l’immaginazione al potere abbia senso quando la si sappia usare con delle argomentazioni capaci di alternare l’attività teorica con quella pratica, ovvero il linguaggio del professore, quando necessita (Scabia ha insegnato per 30 anni al DAMS di Bologna), con quello dell’artista, molti dei suoi testi sono stati pubblicati da Einaudi. Marino ha diviso il suo lavoro in sette capitoli, preceduti da un Proemio in cui rivendica la forza poetica e immaginativa di Scabia, le particolari forme artistiche che andava costruendo insieme agli allievi, il ricorso alla simbologia, come quella dell’Albero, elemento necessario alla sua ispirazione e alla creazione del suo “Teatro vagante”, titolo di un libro famoso, pubblicato da Ubu Libri, che è anche un viaggio nel mondo immaginario del Poeta d’Oro.
L’indagine di Massimo Marino attraversa le varie forme di teatro alle quali ha fatto ricorso Scabia, dall’Animazione, non certo quella didattica, all’uso dei Laboratori, dalla lotta per gli esclusi, durante gli anni della collaborazione con Basaglia con l’avventura di Marco Cavallo, al Teatro di Figura e di Strada, con l’esperienza del Gorilla Quadrumano, di cui parecchi di noi hanno un bel ricordo, come lo hanno di “Fantastica visione”, commedia armoniosa, con andamenti metateatrali, con intermezzi ricchi di riflessioni che evidenziavano il modo con cui le società finiscono per divorare se stesse.
Scabia era sempre alla ricerca dell’ignoto, e non del già noto, vizio dei poeti, argomento dell’ultimo capitolo, nel quale Marino ricorda i Poemi, i versi, i brevi componimenti che evidenziavano l’inno alla vita e alla natura di Scabia.
“IL POETA D’ORO. Il GRAN TEATRO IMMAGINARIO DI GIULIANO SCABIA”, di Massimo Marino, La Casa Husher 2022, pp. 246, € 28.