NOSTRO SERVIZIO – LOCARNO, martedì 9 agosto ► (di Marisa Marzelli) Passato il giro di boa della 69ma edizione (3-13 agosto), il Festival di Locarno sembra proseguire senza grosse polemiche. Forse qualche borbottio l’ha suscitato la scelta del film d’apertura in Piazza Grande: The girl with all the gifts del regista scozzese Colm McCarthy, con Glenn Close e la Bond-Girl, stella in ascesa, Gemma Arterton. Non perché sia di cattiva qualità, ma perché si tratta di uno zombie movie. Genere da alcuni non ritenuto sufficientemente “colto” per inaugurare un Festival internazionale.
Questi schizzinosi forse non sanno che i film del fantastico, nelle loro varie declinazioni, sono considerati metafore popolari delle paure dell’inconscio sociale in quel momento storico.
In The girl with all the gifts siamo in una base militare dove sono detenuti un gruppo di ragazzini (con divise arancione come quelle di prigionieri di Guantanamo) tra i pochi rimasti immuni da un virus che rischia di trasformare l’umanità in zombie. La ricerca per trovare un vaccino passa dalla sperimentazione su di loro.
I film serali in Piazza Grande (con la sua capacità di 8.000 posti) sono quelli di maggiore impatto sul pubblico e diversi tra quelli già visti parlano di guerra, in varie forme.
Come l’atteso Jason Bourne, ancora inedito in Europa, quarto capitolo della saga spionistica interpretata da Matt Damon. Film adrenalinico, sempre ad alta velocità, spettacolare, dove si parla di infiltrazioni di hacker in servizi informatici, doppiogioco dell’intelligence e killer professionisti.
Tratta invece di Prima Guerra mondiale e del difficile reinserimento dei reduci l’articolato e riuscito film francese Cessez-le-feu, con un’ottima ricostruzione d’epoca.
Ma il lavoro che ha sinora più ha colpito è un altro francese: Le ciel attendra, della regista Marie-Castille Mention-Schaar, che affronta un tema di scottante attualità, cioè come il terrorismo dell’Isis riesca a reclutare teen-ager (in questo caso ragazze), anche di buona famiglia e sino a poco prima del tutto integrate nella società. Per convincerle a partire per la Siria, reclutandole come possibili attentatrici-suicide. L’assoluta incapacità delle famiglie a comprendere e correre ai ripari e l’ingenua, non ragionata ricerca di ideali da parte del mondo giovanile.
Nelle altre sezioni, come sempre frequentatissima la Retrospettiva, quest’anno dedicata al cinema della giovane Repubblica Federale Tedesca (1949-1963), prima che si affermasse il Nuovo Cinema Tedesco più autoriale degli Herzog, Wenders, Fassbinder, Reitz, von Trotta e altri.
Da segnalare, tra le tante proposte, una raffinata proposta di ricerca tra cinema e teatro. Si tratta, fuori concorso, de Le false confidenze di Marivaux, messo in scena prima della morte (avvenuta l’anno scorso) del celebre regista svizzero Luc Bondy, direttore dell’Odéon di Parigi. La pièce andò con successo in tournée internazionale, ma il regista decise di trarne, contemporaneamente, anche una versione cinematografica. Con i medesimi attori: Isabelle Huppert, Louis Garrel, Bulle Ogier, che la sera recitavano in palcoscenico e durante il giorno giravano la pellicola, ambientata in un’epoca più recente e con scenografia ricavata dai luoghi “non teatrali” dell’Odéon, come il foyer, le scale, la terrazza, le cucine… Come il tentativo – riuscitissimo – di evidenziare e giocare sulle necessarie variazioni stilistiche tra messa in scena teatrale e cinematografica. Dove il cinema si va a infilare nelle nicchie dello spazio teatrale deputato. Marivaux regge sempre.
Locarno al giro di boa. Primo bilancio, dopo i borbottii degli schizzinosi al film-zombie d’apertura con Gemma Arterton
9 Agosto 2016 by