L’Opera del Mendicante, di John Gay, riveduta e (s)corretta en travesti, con le Nina’s Drag Queens, al Teatro Puccini

Scan_20151104_073023MILANO, mercoledì 4 novembre ● 
(di Paolo A. Paganini) All’inizio fu “L’opera del mendicante” (The Beggar’s Opera) di John Gay, rappresentata a Londra nel 1728, con la musica – ballate e songs – del berlinese John Christopher Pepusch: satira arguta e sarcastica parodia dell’opera italiana (e non solo). Ladri, spie, prostitute, sfruttatori, delatori, poliziotti corrotti, in un rovesciamento di valori morali, ne erano i protagonisti. Opera, nella finzione, di un mendicante, narra le malefatte del libertino Mc Heath, straordinario personaggio di allegro brigante, gran scialacquatore di beni e di femmine. Sposata Polly, figlia del ricettatore Peachum, scatena le ire delle altre donne, soprattutto dell’amante Lucy, figlia di Lockit, capo carceriere di Newgate. Viene denunciato e fatto arrestare da Peachum, preoccupato che il proprio patrimonio finisca nelle mani dell’astuto donnaiolo. Il quale finirà impiccato, lasciando dietro di sé uno stuolo di donne e di figli in lacrime. Ma, trattandosi di un’opera buffa (in senso lato) e non di una tragedia, tanto vale far felice il pubblico. E così il beffardo John Gay gira l’impiccagione in lieto fine, con il bandito rimesso in libertà, tra il giubilo delle sue donne.
“L’opera del mendicante”, con un ininterrotto successo, da Londra a Bristol, dal Galles alla Scozia, per tutto il XIX secolo e con felici riprese anche nel XX, diede inizio alla “Ballad opera”, o commedia satirica, all’Opéra Comique, al Singspiel (opera con recitato, musica, ballate e canto), alla Zarzuela, all’operetta e al Musical. Per non parlare della famosa versione di Bertolt Brecht, musica di Kurt Weill, che, nel 1928, con l’“Opera da tre soldi”, rilanciò su scala mondiale l’“Opera del mendicante”, in chiave meno satirica e più polemica, meno singspiel  e più denuncia sociale.
Tutta questa spatasciata per dire che ora, al Teatro Puccini, è tornata l“Opera del mendicante”, singolarmente fedele al canovaccio primitivo e stupendamente infedele sul piano della rappresentazione. È rappresentata da cinque interpreti en travesti, i “Nina’s Drag Queens”, attori, imitatori, danzatori, che hanno trovato una felice chiave espressiva, fin dal 2007, quando nacquero artisticamente da un’idea di Fabio Chiesa, presso il periferico Teatro Ringhiera di Milano. I Drag Queens danno una piega diversa e originale al travestimento di genere, con una poetica tutta in chiave femminile, calandosi letteralmente nei panni femminili, con cruda tenerezza e sensualità. Lo spettacolo (un’ora e quindici il primo tempo, un’ora il secondo) non ha niente a che vedere con le non dimenticate raffinatezze stilistiche di Lindsay Kemp, o con le sottili ironie letterarie di Paolo Poli, o con le allegre smargiassate di Mabilie e Terese (sempre benemerite in difesa del dialetto lombardo).
I Drag Queens giocano sull’eccesso, su un ribaldo e disinvolto utilizzo del playback, facendone il verso più che l’imitazione, con esiti talvolta esilaranti, con una mimica che ne stravolge volentieri i significati senza tanti complimenti.
Questo gran salto dal Teatro Ringhiera al Teatro Puccini ha ufficializzato ora un successo semplicemente straordinario, con un allestimento che sfrutta, in spregiudicata e allegra irriverenza, i caratteri del cabaret, del musical, del dramma e del mimo, utilizzando più il grottesco che la vis polemica, più il fascino di una malandrina provocazione corporea che la denuncia sociale, che in John Gay era invece particolarmente accentuata, usando egli il veleno della satira soprattutto contro la corruzione dei potenti e dei politici della sua epoca (ora, in questa libera versione, appena accennata ai riferimenti nostrani). Per i Drag Queens la commistione dei generi è troppo privilegiante e solluccherevole. E così, invece di John Christopher Pepusch e di Kurt Weill, è stato impossibile non approfittare di una decina di brani largamente popolari, andando sulle note di Mina, di Modugno, della Pavone, della Carrà, con “Guarda che luna, guarda che mare” (lanciata da Buscaglione), o con “Pianissimo”, o con “Tu non lo sai che cosa sei”, o con “Grande grande”… Fino al travolgente finale di “Meraviglioso” di Modugno, che – udite udite – non fu nemmeno ammessa al Festival di Sanremo del 1968, e che da allora divenne un mondiale inno alla felicità. E, dopo quasi cinquant’anni, vedi al Puccini.
Gli affiatatissimi interpreti: Alessio Calciolari (Lucy), Ulisse Romanò (Polly), Stefano Orlandi (Lockit), Lorenzo Piccolo (Signora Peachum), Gianluca Di Lauro (Jenny).
E il bandito gran seduttore Mc Heath? Non c’è. Ma del suo sesso è tutta impregnata la presenza di mogli amanti e prostitute.
Regia di Sax Nicosia (qualche scena un po’ sfilacciata, ma nell’insieme tutto di grande e apprezzata tenuta).

“Dragpenny Opera”, liberamente ispirata a “The Beggar’s Opera” di John Gay, con Nina’s Drag Queens. Teatro Puccini, Corso Buenos Aires 33, Milano. Repliche fino a domenica 8.