(di Patrizia Pedrazzini) Maggio 1940: pesanti nuvole nere si addensano sull’Europa. Il 10, impiegando la tattica militare della blitzkrieg, la “guerra lampo” già adottata in Polonia, le truppe tedesche attaccano i Paesi Bassi e il Belgio da dove, attraversando la Foresta delle Ardenne e praticamente aggirando la linea Maginot, entrano in Francia. Arriveranno a Parigi il 14 giugno, non prima di aver fatto temporaneamente fermare, il 24 maggio, le Panzer-Divisionen vicino a Dunkerque, dove 400.000 soldati alleati, ripiegati sulla Manica e lì bloccati fra terra e mare, attenderanno fino al 4 giugno prima di essere evacuati.
Intanto lo stesso 10 maggio, a Londra, il primo ministro conservatore Neville Chamberlain, già gravemente malato (morirà il 9 novembre dello stesso anno), è costretto alle dimissioni. C’è bisogno di un governo di larghe intese in grado di gestire l’emergenza, e la sua figura non lo può garantire. Un deputato del suo stesso partito gli si rivolge ripescando le parole pronunciate nel 1653 da Oliver Cromwell contro il Parlamento: “Siete rimasto seduto troppo a lungo, quale che sia il bene che avete fatto. Andatevene, vi dico, e liberateci dalla vostra presenza. In nome di Dio, andatevene”. Così re Giorgio VI, anche se poco convinto, dà l’incarico di formare il nuovo governo a Winston Churchill, che già veleggia sui 66 anni e che in precedenza non è stato tenero con Chamberlain (del quale, va ricordato, terrà l’orazione funebre) quando, dopo gli accordi di Monaco, ha commentato: “Potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore, e avranno la guerra”.
Parte da qui “L’ora più buia”, il film con il quale il regista londinese Joe Wright (“Orgoglio e pregiudizio”, “Espiazione”, “Anna Karenina”) affronta uno dei momenti più critici e neri della Seconda Guerra Mondiale. E della vita di Winston Churchill, chiamato a scegliere fra la negoziazione di un armistizio con Hitler e la prosecuzione a oltranza di una guerra che, a quel punto, non prometteva niente di buono. Oltre che a risolvere il problema di Dunkerque. Il tutto in tempi strettissimi, più o meno gli stessi compresi fra due dei più appassionati e patriottici discorsi dello statista inglese: il celebre “Non posso promettervi altro che sangue, fatica, lacrime e sudore” del 13 maggio e quello, epico, del 4 giugno. Altro che ora più buia.
Più che buia, tetra, come gli austeri, incombenti interni della politica londinese nei quali è ambientato il film (e comunque, le poche scene di esterni sono altrettanto cupe), che affianca alla forza della storia la robusta interpretazione di grandi attori: Ronald Pickup è Chamberlain, Ben Mendelsohn re Giorgio VI, Kristin Scott Thomas la moglie di Churchill, Clementine. Mentre il talento, il carisma, la determinazione e la durezza, ma anche i dubbi e l’insicurezza del politico, storico, giornalista e militare britannico sono tutti per il londinese Gary Oldman, la cui performance è già in odore di Oscar. Ora, essere chiamati a dare corpo e volto a Winston Churchill deve rappresentare, per un attore, una sfida irresistibile, oltre che un privilegio, nella quale non a caso si sono cimentati interpreti del calibro di Richard Burton, Albert Finney, Michael Gambon, Viktor Stanitsyn, solo per ricordarne alcuni. E Gary Oldman ce la mette tutta: l’Homburg di feltro, il sigaro, l’onnipresente bicchiere di whiskey, il panciotto, il borbottio latente, la durezza, le imprecazioni. Ma il suo Churchill va oltre tutto questo: è spesso stizzoso, facile alla rabbia, brontolone più che polemico. Certo, sir Winston Leonard Spencer non aveva un carattere facile (ma quale persona di carattere lo ha?), però nel film di Wright sembra più un leone in gabbia che un comandante in capo sulla tolda della nave. Ed è un peccato, perché una recitazione meno gravata da eccessi di caratterizzazione e più “misurata” avrebbe contribuito a renderne ancora più coinvolgente la figura, giovando all’intero film. Il quale, comunque, storicamente ben costruito e giocato com’è in massima parte sulla parola, della quale Churchill era maestro, coinvolge e trascina (soprattutto nella seconda parte, mentre nella prima qualche taglio non avrebbe guastato), regalando momenti di ottimo cinema.
Dalla scena nella quale il primo ministro, su consiglio del re, prende la metropolitana e va a parlare con la gente, sedendo fra gli esterrefatti londinesi e chiedendo loro che cosa farebbero al posto suo, alle convulse sedute del Parlamento. Fino al travolgente discorso del 4 giugno, quando sì, Dunkerque è appena stata evacuata, ma la Francia sta cadendo e la Gran Bretagna è sola, con lo spettro di un’invasione alle porte: “Noi andremo fino in fondo. Combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e sugli oceani, combatteremo con crescente fiducia e forza nell’aria, difenderemo la nostra isola qualunque sia il prezzo che dovremo pagare. Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui luoghi di sbarco, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline. Noi non ci arrenderemo mai”. E va da sé che, Oscar o non Oscar, un discorso così vale anche da solo la visione del film.
L’ora più buia di Churchill: pace o guerra con Hitler? Bella storia e ottimo cinema. Ma tra Gary Oldman e l’Oscar…
16 Gennaio 2018 by
Trackbacks
-
[…] governo di larghe intese. A succedergli, per soddisfare i Laburisti, è Winston Churchill… (qui la nostra […]
[…] frecensione)di Christopher Nolan – che è in qualche modo il lato B de L’ora più buia (qui la nostra rrecensione), cioè lo scenario bellico connesso alle mosse di Churchill sulla scacchiera […]