L’oro degli Inca. E non solo. In mostra al Mudec di Milano oltre 170 manufatti delle civiltà andine. Tra storia e leggenda

MILANO, sabato 8 ottobre (di Patrizia Pedrazzini) – Quando, nel gennaio del 1531, la spedizione prese il largo da Panama alla volta delle terre del Sud – o meglio del regno dell’oro, il mitico El Dorado, di cui tanto si favoleggiava – il comandante, lo spagnolo Francisco Pizarro, poteva contare su meno di duecento uomini, dei quali solo 37 muniti di cavalli. Poco più di quarant’anni dopo, nel 1572, il più vasto impero precolombiano del continente americano, quello degli Inca, aveva cessato di esistere. Il suo tredicesimo, e ultimo (prima della conquista) sovrano, Atahualpa, era stato giustiziato nel 1533: a niente era servito l’enorme riscatto (si parla di 80 metri cubi di oro) che il suo popolo si era affannato ad accumulare per ottenerne la liberazione. Anche se c’è da dire che gli Spagnoli, siccome l’imperatore, terrorizzato, aveva accettato di convertirsi al Cristianesimo, invece di bruciarlo vivo in quanto eretico, gli fecero la grazia di sottoporlo alla garrota, una particolare forma di strangolamento.
Una civiltà, quella degli Inca, più che mai ancorata nella storia, ma anche, inevitabilmente, assurta a leggenda. Ripercorrerne le tappe equivale a intraprendere un viaggio nel meraviglioso, fra reperti archeologici di straordinaria bellezza e paesaggi ai limiti del magico: i gelidi altopiani delle Ande, le foreste pluviali del bacino del Rio delle Amazzoni, la cittadella di pietra di Machu Picchu (patrimonio Unesco), costruita nel 1450 a 2430 metri di altezza e scampata alla furia degli Spagnoli solo perché, dal basso, non era visibile.
Un racconto raro nel quale fino al prossimo 19 febbraio sarà possibile immergersi, al Mudec di Milano, grazie all’ottima mostra “Machu Picchu e gli imperi d’oro del Perù”: tremila anni di civiltà, dalle origini agli Inca, in oltre 170 manufatti di sorprendente bellezza. Dalle opere in terracotta caratterizzate da grande espressività e perfezione tecnica ai tessuti, coloratissimi, all’oro (ma anche all’argento, al rame e alle pietre preziose) dei monili – orecchini, soprattutto – delle corone, dei copricapi, delle pettorine funebri. Perché i sovrani del mondo andino incarnavano gli dei, e i metalli preziosi che indossavano venivano scelti non per il loro valore “monetario”, bensì per ciò che rappresentavano per l’intera comunità: l’oro era il sudore del Sole, l’argento le lacrime della Luna.
Così non poteva mancare, nel percorso della mostra, introdotta da una maschera funeraria in rame con artigli felini di conchiglia e ornamenti per le orecchie a forma di serpente, la figura dell’eroe mitologico, il capo Al Apaec, l’eroe della cultura Moche, che muore e rinasce, e che dopo essere rinato si unisce alla Madre Terra, assicurando così la continuità dei cicli naturali che garantiscono il sole e la pioggia, ovvero la vita.
Come non potevano mancare il rituale della caccia al cervo e i sacrifici umani, vittime prescelte i guerrieri sconfitti in battaglia il cui sangue veniva raccolto in coppe e offerto ai sommi sacerdoti, rappresentanti degli dei. E tutta la cosmologia andina, con i suoi tre mondi: quello di Sopra, quello del Qui e Ora, e quello Basso, il mondo dell’oceano e del sottoterra, dove vanno le persone quando muoiono, ma sul quale cade anche la pioggia e maturano i semi.
Il tutto affiancato, e letteralmente avvolto, nel buio delle sale della mostra, da musiche, video, ricostruzioni in 3D che traghettano il visitatore in un vero e proprio viaggio nel tempo. C’è persino la possibilità di sperimentare, in una sala immersiva a parte, una simulazione di volo sulla città di Machu Picchu, che regala la sensazione quasi fisica di volare sopra i resti e le cime delle montagne peruviane.
Gli oltre 170 manufatti esposti provengono dal Museo Larco di Lima.

“Machu Picchu e gli imperi d’oro del Perù”, Milano, Mudec, via Tortona 56, fino al 19.2.2023

www.mudec.it