E stavolta Konchalovsky con “Tre sorelle” di Cechov firma un allestimento bellissimo ma deludente

tre sorelle collage(di Paolo A. Paganini) “Tre sorelle” di Cechov, al Mercadante nell’ambito di Teatro Napoli Festival, dopo “Zio Vanja”, ha concluso la presenza scenica di Andrei Konchalovsky. E subito anticipiamo che si tratta d’un allestimento bellissimo e deludente. Avevamo forse caricato di troppa aspettativa quest’ultima proposta cechoviana, alla quale s’è sempre assegnata l’importanza d’un documento storico.
Il dramma, con alcuni contenuti già palesemente anticipati in “Zio Vanja” (1896), ma resi ancora più espliciti con “Tre sorelle” (1901) è divenuto simbolo tragico e doloroso d’una Russia sospesa tra la rassegnazione di una vita squallida, senza ideali, agonizzante in una inedia senza futuro, e il presentimento d’una non lontana tempesta. “Avanza su di noi qualcosa di formidabile. Si prepara una risolutrice burrasca… Spazzerà dalla nostra società la pigrizia, l’indifferenza, la prevenzione contro il lavoro, la putrida noia…” (“Tre sorelle”)
Facciamo attenzione alle date: di lì a poco, nel 1905, la Prima rivoluzione russa (strage di manifestanti a Pietroburgo, ammutinamento della corazzata Potemkin, costituzione dei Soviet); e infine, nel 1917, la “rivoluzione di febbraio” (fine dello zarismo, instaurazione d’un regime socialista, requisizione delle grandi proprietà terriere per redistribuire la terra ai contadini). Altro che burrasca redentrice, uno sconquasso cosmico! Eppure, Konchalovsky, in uno spezzone cinematografico finale, fa vedere che la grande tempesta sarà il passo d’oca e la bufera nazista, facendo fare al povero Cechov la figura d’un ottuso sognatore, inebriato di sogni e illusioni con le sue panzane d’un futuro felice in una mitica età dell’oro. Non è l’unica delusione di questo spettacolo, peraltro solidamente sostenuto da una formidabile compagnia: una quindicina di attori, i quali si calano nei personaggi cechoviani in personali ed individuali repertori di abilità espressiva, che, nel solidale rispetto del gioco di squadra, hanno fascinosa ed indiscutibile presa sul pubblico. Merito di Konchalovsky? Senz’altro. Ma è solo formalismo, estetica campata in aria, e il regista russo ci si guazza con una irresistibile voluttà. E il troppo stroppia.
Nei due tempi di un’ora e venti ciascuno c’infila un’invenzione dietro l’altra, in controcanti recitativi da grande concertato, ma che diluisce, annacqua, e nulla aggiunge al tema cechoviano, se non dimostrare il proprio innegabile talento personale. E purtroppo qui si disperdono le preziose e sofferte atmosfere cechoviane, quella putrida noia alla quale s’è accennato, quel male oscuro di noia, di pigrizia, d’inedia, d’indifferenza, di angoscia, d’inerzia.
A questo si aggiunga che Cechov non è un fanatico facitore di trame né un convinto costruttore d‘azioni drammatiche, tanto da dare l’impressione che nulla avvenga, che il tutto riguardi qualcun altro, nonostante si assista a un paio di adulteri e a un omicidio in duello. Ma a Cechov interessano i riverberi più che gli avvenimenti, più i riflessi che essi hanno nell’anima e nel comportamento dei personaggi. Tutto il resto è sovrastruttura. E se ti ci innamori, se si privilegiano i giochini di prestigio, pur con abili e straordinarie invenzioni, con trucchi e minutaglie di piccole strategie, diventa solo esibizionismo. E Cechov va a farsi benedire.
Almeno citeremo, fra tutti i bravissimi interpreti, le “tre sorelle”, Larisa Kuznetsova, Yulia Vysotskaya, Galina Bob; e Natalia Vdovina, la destabilizzante perfida cognata ; poi Vladas Bagdonas, il vecchio ufficiale medico; Alexander Domogarov, il tenente colonnello e comandante di batteria; Pavel Derevyanko, lo sfortunato barone, il più positivo di tutti (e muore in duello).
Applausi di contenuto consenso alla fine per tutti.