VENEZIA, domenica 30 luglio ► (di Paolo A. Paganini) “Riccardo III” di Shakespeare, ovvero archetipo di ogni ipocrisia, perfidia, malvagità, assassinii, trame e complotti per la sete di potere, per la conquista del trono. Siamo all’epoca della Guerra delle due Rose, i Lancaster e gli York, nel 1400. Riccardo, il monco e gobbo Riccardo, diabolico manipolatore, repellente personaggio, emerge – quasi – dal campionario dei mostri di Bosch. Eppure geniale, sistematico ed implacabile nella sua scalata al potere. Toglie di mezzo il fratello Giorgio erede al trono, elimina Clarence, fa fuori Edoardo principe di Galles e, via via, Rivers, Grey, il piccolo York, Lord Astings, Lady Anna, Buckingham e sua moglie… Una decina insomma, tra nobili e consanguinei, prima che i suoi crimini vengano scoperti. Si ritroverà infine ad affrontare il conte di Richmond nella battaglia di Bosworth Field, dopo la visita in sogno di tutti i fantasmi dei personaggi da lui uccisi. A nulla varrà gridare in battaglia la famosa battuta “Il mio regno per un cavallo”…
Ma anche se, in questa tragedia in cinque atti e una quarantina di personaggi, Riccardo III non è del tutto fedele al contesto storico, per Shakespeare, poco importa. Sembra quasi divertirsi in grottesco e macabro climax di morti, complotti e sicari.
E se si è divertito Shakespeare, ci scandalizzeremo, ora, se Nathalie Béasse, ideatrice regista e scenografa, al Teatro alle Tese, nell’ambito della Biennale, si è buttata in una tragica e irridente rivisitazione di un Riccardo III, molto riveduto e molto corretto? In un’ora e venticinque condensa il mostruoso gigantismo della tragedia shakespeariana, in irriverente e disinvolta tentazione parodistica, giocando con i caratteri originali, ma depositati e fermentati nei suoi sette formidabili attori distribuiti in più parti. Anzi, in un gioco di teatro nel teatro, sono loro ad assegnarsi i vari ruoli, in una gara di pretestuose precedenze, tant’è che, alla fine, sono in quattro a contendersi la parte di Riccardo.
Con spezzoni di frasi e brevi dialoghi, estrapolati dall’originale, la Béasse dice: “Sono frammenti, ognuno dei quali si concentrano ad evocare il rapporto di Ricardo con i suoi fratelli, con la madre … Ma non è centrale solo la figura del mostruoso Riccardo con la sua macabra storia, sono centrali anche tutti gli altri, tutto ciò che ruota intorno a una sordida vicenda di famiglia, in una relazione individuo/ambiente…”.
Ma, per ambiente, ha anche tenuto conto della centralità della platea, rispondendo ad essa più che alla fedeltà del contesto. Quando poi la tensione drammaturgica rischiava di prendersi troppo sul serio, ecco dare spazio agli attori con danze di gruppo ed eroiche piroette, anche se con fatica han l’aria di divertirsi e di chiedersi: “Ma chi ce lo fa fare?”.
Ma, per la Béasse, la scena è importante, soprattutto perché sul palcoscenico si svolge una liturgia comunitaria, che deve soprattutto sottolineare e valorizzare l’apporto interpretativo, escludendo mattattoriali pretese individualistiche. Tutto diventa gioco di squadra. La scena, in questo gioco, è come un interno di foto con famiglia. Tutto si svolge intorno a un lungo tavolo, dove la famiglia è costretta ad amarsi e a odiarsi, in un perenne massacro di “fratelli coltelli”. E così, di ruolo in ruolo, si fanno fuori nella sovraccitata decina.
Alla fine, un po’ per celia un po’ per non morir, come a voler dire: “dài, abbiamo scherzato”, tutto però finisce in gloria nella solita collante socialità di danze di gruppo ed eroiche piroette.
Doveroso, almeno, nominare i generosi protagonisti di “Roses”, secondo allestimento di Nathalie Béasse alla Biennale di Venezia:
Sabrina Delarue, ÉtienneFague, Karim Fatihi, Erik Gerken, Béatrice Godicheau, Clément Goupille, Anne Reymann.
Pubblico semplicemente osannante.
Macabra parodia della Béasse nella storia di Shakespeare, tra tragedia e commedia, del malefico gobbo Riccardo III
30 Luglio 2017 by