FIRENZE, mercoledì 19 ottobre ► (di Carla Maria Casanova)
Un successo così Firenze se lo sognava da tempi remoti. Pereira stesso era inquieto, ansioso. Alcina di Haendel, chi la conosce? Quattro ore di spettacolo. E la regìa di Michieletto, che è sempre un terno al lotto. E l’azzardo di aver tentato per la protagonista (storico cavallo di battaglia della inarrivabile Joan Sutherland) il mezzosoprano Cecilia Bartoli la quale, va bene che è diventata donna di grande potere, direttrice artistica del Festival di Pentecoste di Salisburgo, ma non canta più da tempo ruoli così impegnativi (tanto meno in un registro vocale come questo) ed ha anche a suo attivo parecchie rinunce dell’ultimo momento, come puntualmente stava per verificarsi ieri sera, con Pereira che è dovuto presentarsi al pubblico prima dell’inizio con il microfono in mano “Cecilia Bartoli…” cosa cui ci aveva tanto abituati la sublime Montserrat Caballè. Qui il seguito del comunicato è stato meno tragico: “Cecilia ha preso il raffreddore, ma forte com’è riuscirà a vincere la sua battaglia… se la incoraggiate con il vostro calore…” Forse è stato proprio questo annuncio a decretare l’atmosfera della serata, subito iniziata con un applauso fragoroso, ripetuto con forza per ogni aria di ognuno dei cantanti. Mai sentito a Firenze. Sarà anche stata la claque – come insinuano certe malelingue – (la Bartoli conta con sostanziosa compagine di fans scatenati) comunque ha funzionato senza isterismi. E bisogna dire che tutti gli interpreti sono stati sontuosi, l’unica un po’ in défaillance proprio la Bartoli (specie nel primo atto) ma con il raffreddore come si può giudicare? Applaudiamo per incoraggiare. E già al secondo atto e poi al terzo anche la Bartoli, in forza della sua strepitosa tecnica vocale, ha dato prova di eccellenza.
Alcina, monumento del repertorio musicale barocco, è apparsa sulle scene a Londra nel 1735. È opera ariostesca (procede dall’Orlando furioso) di incantamenti e di magie. Non per niente Alcina, trasforma i suoi amanti (non in porci come usava la sua collega Circe, ma in bestie feroci). Però succede che anche un suo amante da lei molti amato, le fa le corna. Dopo moltissime complicazioni messe in atto da vari personaggi, tutti rientrano nel dovuto e trovano persino modo di infrangere il potere della Maga, rendono aspetto umano agli uomini da lei irretiti suoi e se ne vanno lasciandola sola e disperata. (Finalmente, una volta tanto!).
Ora, i miei due lettori (spero qualcuno di più) sanno che sono una fervida sostenitrice di Damiano Michieletto fin dal suo primo apparire a Pesaro (2007 se non erro). Qui Michieletto è come sempre intelligente, ha soluzioni teatrali prestigiose: la piattaforma girevole con pareti in plexiglass con cui divide gli spazi consentendo la visibilità di entrambi; le scene nere con gli specchi riflettenti; gli amanti succubi delle arti di Alcina impersonati da una folla miserevole di uomini seminudi che vaga in secondo piano, come in un girone dantesco; lo specchio infranto che vanifica la magìa e, nel finale, gli infiniti frammenti di specchio che calano dall’alto mentre Alcina, oramai larva umana, perde i capelli a ciocche e rimane calva. E tanti altri momenti. Però troppi, da scervellarsi per poterli decifrare. Michieletto cede alla ridda di idee, intuizioni, rischi di cui è sempre stato ricco e li mette tutti in scena. E poi quella mania oramai dilagante di usare dei liquidi (di solito rosso sangue) da spargere sul proprio corpo, sulle mani, sulle vesti. Una schifezza assoluta. Infine, negli amplessi amorosi, mette troppi uomini a torso nudo (molto più sexy fare l’amore con la camicia) allorché gli uomini, e soprattutto i cantanti, a torso nudo, difficilmente sono un bel vedere. Ma passi. Il vero problema è la magìa. Che non c’è. Questa Alcina è totalmente priva di magìa. So benissimo che parlare dei colleghi è quanto mai irritante però quel prodigioso Rinaldo (sempre Haendel) di Pierluigi Pizzi, lo ricordate? E anche Carsen, per moderno che sia, la magìa l’ha sempre ottenuta. Dunque è possibile riprodurla in scena, anche al giorno d’oggi.
E adesso la musica. Innanzi tutto in buca ci sono Le Musiciens du Prince-Monaco, ensemble nato nella primavera 2016 all’Opéra di Montecarlo per iniziativa di Cecilia Bartoli che ne è anche la direttrice artistica. Li dirige il milanese Gianluca Capuano, dal 2019 direttore musicale, esperto nella direzione della musica antica, fondatore nel 2006 del Canto di Orfeo, ensemble dedicato ai capolavori del barocco europeo. Per Alcina, una esecuzione da manuale. Strumenti antichi, estrema accuratezza stilistica, direzione gioiosa sono il pregio numero uno di questo spettacolo.
Gli interpreti, diciamo pure favolosi. Lasciando da parte per un attimo Cecilia Bartoli con il raffreddore, si passa a Carlo Vistoli (Ruggiero) molto aitante controtenore tra i più apprezzati in campo internazionale e con un importante spessore vocale. Qui è passato da una spettacolare baldanza (“Bramo di trionfar”) a una delicatezza incantevole (“Verdi prati”). Lucia Martìn Cortòn (Morgana) studi di canto e violino, ha voce squillante manifestatasi sicurissima nel registro acuto (“Tornami a vagheggiar”); Kristina Hammarström (Bradamante), mezzosoprano svedese, che nella storia è donna facente finta di essere uomo, assolve perfettamente i due ruoli, con grande stile ed espressività; Petr Nekoranec (Oronte) tenore cecoslovacco è elegante e con solida tessitura solida; Riccardo Novaro, baritono specializzato in Mozart e Rossini, si distingue nella pur piccola parte di Melisso. Quanto a Oberto, parte di solito affidata a un sopranino di primo pelo, qui è addirittura un piccolo bambino, solista del Wiltener Sängerknaben di Innsbruck, e canta con sicurezza. Uno di quei talenti precoci che, trecento anni fa, sarebbe stato vittima della truce pratica della castrazione.
E arriviamo –torniamo- a Cecilia Bartoli, figlia di insegnante di canto, si è specializzata nel repertorio antico ed ha bruciato le tappe esibendosi subito nei grandi teatri di tutto il mondo. Si dedica alla ricerca di opere sconosciute, vedi il repertorio di Vivaldi. Ha inciso un numero impressionante di dischi e album. Il suo particolare canto, senza concessione alcuna agli abbellimenti, incontra molto nel mondo dei giovani. La padronanza della voce, e della scena, le permettono di affrontare ruoli impegnativi anche non in condizioni fisiche ottimali, come è successo con questa Alcina dove, in arie come “Di cor mio” o “Ah Ruggiero crudel” ha raggiunto un notevole impatto.
Le scene, con largo uso di proiezioni, sono di Paolo Fantin, i costumi di Agostino Cavalca (per Alcina, in anonimo abitino nero, si poteva trovare una foggia che indicasse meglio il personaggio). Le luci di Alessandro Carletti. Le coreografie di Thomas Wilhelm. Lo spettacolo è dato con sopratitoli in italiano e inglese.
Alla fine un trionfo. Spettatori plaudenti in piedi. Mancava poco che urlassero. Pereira sarà contento.
FIRENZE, Teatro del maggio Musicale Fiorentino, sala Mehta. Repliche: giovedi 20, lunedi 24, mercoledi 26 ottobre ore 19, sabato 22 ore 18.