
Federico Benetti (Il custode dei pazzi), Maria Rey Joly (Agnese) e Andrea Giovannini (Don Girolamo) – Foto Edoardo Piva
TORINO, mercoledì 13 marzo ►(di Carla Maria Casanova) Nel cosiddetto periodo “di transizione”, che sta tra Mozart e Rossini (e i primi romantici), sono quattro i nomi ai quali si fa riferimento: Cherubini, Spontini, Mayr, Paer, dove Paer figura quasi di secondo piano.
Eppure, Ferdinando Paer (Parma 1771 – Parigi 1839) è tutt’altro che figura secondaria. Vastissima la sua produzione : 43 opere teatrali e composizioni di tutti i generi, sacri e profani (messe, oratori, cantate, sinfonie, danze, opere didattiche per il canto e il violino…). Di grande influenza nella vita musicale parigina (dove se lo portò con sé Napoleone, dopo aver ascoltato una sua opera a Dresda), Paer diede lezioni di canto a Giuditta Pasta, di composizione a Liszt e Gounod. Fu insignito della Légion d’honneur. La sua luce si affievolì quando entrò in competizione con Rossini, che gli successe alla direzione del Théâtre des Italiens. Eh già, ubi maior. La storia non è nuova. Ma senza Paer anche Rossini sarebbe stato diverso. Paer fu sepolto al Père Lachaise, come Rossini (la cui salma venne poi traslata in Italia). Chiuso il fervorino culturale.
Si passa ad Agnese, opera tuttora sconosciutissima. Composta per il conte parmense Fabio Scotti, esordì nel 1809 nel teatrino della villa dell’aristocratico al Ponte Dattaro (Parma), con una compagnia di dilettanti. Piacque. Ripresa nel 1824 per il Théâtre-Italien di Parigi, rimpannucciati orchestra e cast (vi figurano Giuditta Pasta e Marco Bordogni) fu accolta da consensi oceanici in tutta Europa (Scala compresa) e America. Passarono altri quindici anni e Agnese riscomparve. E questa volta per davvero. Era arrivato Rossini.
Che il Teatro Regio di Torino sia andato adesso a recuperare “Agnese” – prima mondiale in forma scenica in tempi moderni – può sembrare obsoleto. Invece no. Come esempio del gusto di un’epoca e come fatto storico, ha una singolare rilevanza.
L’argomento – Agnese fugge dalla famiglia per seguire un innamorato scellerato che poi la pianta. Il padre di Agnese impazzisce di dolore e anche lei, dopo l’abbandono, non sta troppo bene. Alla fine il fedifrago ritorna, il padre rinsavisce e sono tutti contenti.
Il punto sta nel tema dell’alienazione psichiatrica. Il manicomio, soggetto trattato secondo il pensiero post-illuministico di fine Settecento che inizia a studiare le malattie mentali con criteri scientifici e ne intravvede possibili guarigioni, era faccenda di ardita avanguardia (la legge Basaglia per l’abolizione dei manicomi è del 1979!). Basti pensare alle truci immagini di Hogarth, alla fine di Salieri o dell’infelice Camille Claudel sorella di Paul, per comprendere come l’argomento fosse tabù. E se in Agnese (dramma semiserio) il soggetto è trattato con leggerezza, e lieto fine, portarlo in scena suscitò sconvolgimenti. Stendhal ne fu addirittura scandalizzato. Poi, le scene di pazzia diventarono il pezzo forte di molte opere del melodramma romantico ma, riportata ai suoi tempi, “Agnese” costituisce un caso da considerare con rispetto.
Il fatto è che, dopo tre ore e 15 minuti di spettacolo (e staresti lì altre due ore senza accorgerti), musica di estrema gradevolezza ben eseguita, cantanti ineccepibili, messa inscena originale, ricercata ma non leziosa, dopo questa bella premessa, vai a casa e ti accorgi che non ti è rimasto addosso niente. Non un’aria, un motivetto. Forse la Ouverture, ricca di melodie. Ma anche quella, poi, chi se la ricorda? Allora uno dice: operazione fallita. No. Senza arrivare all’entusiasmo del prestigioso direttore Diego Fasolis, e del curatore dell’edizione critica Giuliano Castellani, che parlano di capolavoro, è stato un recupero valido. Un pomeriggio piacevolissimo (prova generale aperta al pubblico). Una rilassante gita in campagna, toh.
Urge qui segnalare i nomi dei fautori del tutto: il regista Leo Muscato (scene Federica Parolini, costumi Silvia Aymonino, luci Alessandro Verazzi) che ha ideato dei box semoventi, costituiti da scatole di latta di antichi medicinali, le quali, aperte, illustrano con garbo i vari ambienti. L’azione passa con agilità da una scatola all’altra. Notevoli, nella prestazione vocale e scenica, gli interpreti: Maria Rey-Joly, Markus Werba, Edgardo Rocha, Filippo Morace (efficacissimo buffo di carattere), Andrea Giovannini.
Dunque da vedere? Ma sì, da vedere.
Torino, Teatro Regio: “Agnese” di Ferdinando Paer- Repliche 14, 15, 17, 24 marzo.