Manet e la modernità. A Palazzo Reale l’alchimia pittorica fra l’artista e la sua vera grande musa ispiratrice: Parigi

Édouard Manet, Berthe Morisot con un mazzo di violette, 1872 – Olio su tela, 55,5 x 40,5 cm – Parigi, Musée d’Orsay

MILANO, mercoledì 8 marzo (di Patrizia Pedrazzini) Ci sono tutti i colori della tavolozza nei dipinti di Édouard Manet. Ma uno in particolare cattura l’attenzione, soprattutto quando si tratta di ritratti femminili: il colore dell’eleganza delle parigine, l’espediente che più e meglio di ogni altro valorizza la carnagione chiara delle giovani donne, il nero. “Mi ha catturato soprattutto il nero, il nero assoluto, il nero di una veletta da lutto, quel nero che appartiene solo a Manet”, scrive Paul Valéry a proposito di “Berthe Morisot con un mazzo di violette”, che l’artista dipinse nel 1872. Lo stesso nero, antico e moderno insieme, di “Berthe Morisot con il ventaglio” (1874), dove il collo, il viso e la mano della modella, pittrice e amica di Manet, emergono dalle pieghe del vestito nero intenso, esaltati dal collarino, anch’esso nero, mentre gli occhi color inchiostro di Berthe sembrano bucare la tela.
Ci sono anche questi due ritratti fra i sedici dipinti su tela che costituiscono il punto di forza della mostra “Manet e la Parigi moderna”, nelle stanze di Palazzo Reale, a Milano, fino al 2 luglio.
Promossa e prodotta dal Comune e da MondoMostre Skira, l’esposizione si avvale inoltre di undici fra disegni e acquerelli dello stesso Manet, e di altri 65 lavori, fra i quali una quarantina di dipinti di grandi maestri del tempo: Boldini, Cézanne, Degas, Fantin-Latour, Gauguin, Monet, la stessa Berthe Morisot, e ancora Renoir, Signac, Tissot. In tutto, 92 opere (provenienti dalla collezione del Musée d’Orsay di Parigi), riunite a celebrare il ruolo centrale di Manet nella pittura moderna, il suo essere stato, in poco più di due decenni di intensa attività artistica (morì a 51 anni nel 1883), l’innovatore e il capofila di una nuova forma pittorica, in una Parigi in piena trasformazione. Lavorando e vivendo sempre, lui, non per niente il più “parigino” dei pittori, nei pressi della Gare Saint-Lazare, in una capitale che proprio in quegli anni si andava totalmente rinnovando, rivoluzionata nell’assetto urbanistico per volere dell’imperatore Napoleone III e del Prefetto della Senna, il barone Eugène Haussmann.
Una figura, quella di Manet, che l’esposizione milanese affronta ripercorrendo i diversi generi ai quali l’artista si dedicò: il ritratto, la natura morta, il paesaggio, le donne, le ambientazioni cittadine, la vita nei Caffè, i teatri.
In una sola parola, Parigi, la vera, grande musa del pittore.

Édouard Manet, Il balcone, 1868-1869 – Olio su tela, 170 x 125 cm – Parigi, Musée d’Orsay

Ecco allora gli incantevoli dipinti floreali, come “Ramo di peonie bianche e cesoie”, del 1864, dove le peonie, fiori molto in voga nell’Europa ottocentesca, sono colte nella fugacità del momento in cui passano dalla vita alla morte.
Ecco il celeberrimo “Il pifferaio” (1866), che i colori pieni e contrastanti, e la totale assenza di prospettiva, quasi assimilano a una carta da gioco.
E “Il balcone”, del 1868: un uomo e due donne (in primo piano ancora Berthe Morisot) raffigurati in una sorta di istante sospeso, gli sguardi assenti, ognuno isolato nel proprio mondo interiore.
E ancora “La lettura”, dipinto fra il 1865 e il ’73, nel quale la moglie del pittore, Suzanne, è ritratta in abito bianco, vestito molto in voga all’epoca, sia in quanto particolarmente adatto alle passeggiate estive, sia per la forte connotazione sociale, che rimanda a uno stile di vita insieme semplice e distinto.
Senza dimenticare, a testimonianza della forte influenza che l’arte spagnola esercitò su Manet, “Lola di Valencia” (1862), ritratto della ballerina Lola Melea, il cui fascino luminoso è paragonato da Charles Baudeleire, che del pittore fu amico, a “un gioiello in rosso e nero”.
Mentre, fra i numerosi lavori dei maestri coevi, trova spazio anche “La Senna al ponte Iéna. Tempo nevoso”, realizzato da Paul Gauguin nel 1875, interessante in quanto l’artista dipingeva allora da soli quattro anni. E, ancora in tema di nero, ”L’attesa” (1885), di Jean Béraud: una snella ed elegante prostituta vestita appunto di nero che attende un cliente nel signorile quartiere dell’Étoile.
Figlio dell’alta borghesia, uomo di mondo, raffinato e brillante, Manet è un pittore per il quale la città diventa uno specchio. Si trova a proprio agio ovunque nella capitale francese, all’Opéra come nei popolari caffè-concerto, nelle atmosfere familiari come fra le prostitute. Ed è sulla speciale alchimia fra l’artista e una Parigi in piena metamorfosi, non più la città dei “Miserabili” e di Victor Hugo, ma già la Ville lumière avviata al Novecento e alla sua modernità, che la mostra milanese riesce a mettere l’accento. Lo aveva già anticipato, nel 1845, Charles Baudelaire: “Il pittore, il vero pittore, sarà colui che saprà strappare alla vita odierna il suo lato epico”.

“Manet e la Parigi moderna”, Milano, Palazzo Reale, fino al 2 luglio.
www.palazzorealemilano.it
www.manetmilano.it