Maria ed Elisabetta. Così diverse, così uguali. Pronte a tutto per il potere, contro un mondo di uomini che non fa sconti

(di Patrizia Pedrazzini) Quando, la mattina dell’8 febbraio 1587, si avvia al patibolo, indossa un abito di velluto scuro, un mantello di seta nera e un lungo velo bianco, simile a quello di una sposa. Perdona il boia, che le chiede di scusarlo, e, prima di appoggiare la testa sul ceppo, lascia che le due dame che l’hanno accompagnata la aiutino a spogliarsi. Un brusio corre fra i presenti: la donna indossa una sottoveste scarlatta, il colore della passione dei martiri cattolici. Perché da martire cattolica Maria Stuart vuole morire. Ha 44 anni, ed è ancora bellissima.
Il cinema (e non solo) ha sempre avuto un debole per l’infelice storia della regina di Scozia mandata a morte, non dopo poche esitazioni, dalla cugina Elisabetta I. A partire dal primo cortometraggio, muto, del 1895 (“The Execution of Mary, Queen of Scots”), che in un minuto ne mostrava l’esecuzione (e si racconta che fu, per l’epoca, talmente realistica da far pensare a molti che l’attrice fosse morta sul serio), si contano a decine i film a lei dedicati. Celebri, fra tutti, quello del 1936, interpretato da Katherine Hepburn, e quello del ’71, con Vanessa Redgrave.
Ora è la volta di “Maria regina di Scozia”, primo lungometraggio della regista teatrale inglese Josie Rourke, e va subito detto che, nei panni della protagonista, la ventiquattrenne irlandese Saoirse Ronan ha ben poco da invidiare, per bravura e intensità, ai “mostri sacri” che l’hanno preceduta.
Storicamente non del tutto ineccepibile (l’incontro finale fra Maria ed Elisabetta pare proprio che non sia mai avvenuto, però, teatralmente, è bello), tuttavia nel complesso rispettoso, il film racconta la vita della regina da quando, rimasta vedova a 18 anni del primo marito, il re di Francia Francesco II, invece di risposarsi, torna nella natia Scozia per riprendersi il trono che le spetta (e rivendicare quello d’Inghilterra), fino alla morte. Ma, al di là della pur coinvolgente ricostruzione storica, la pellicola ruota soprattutto intorno alla rivalità (che in alcuni momenti sfiora il rapporto di odio-amore) fra le due regine, privilegiando il carattere, la forza, il senso di sacrificio di due donne determinate a cimentarsi nella lotta per il potere in un mondo totalmente dominato dagli uomini. I quali non solo non fanno loro sconti, ma – soprattutto nel caso di Maria – tramano incessantemente per farle cadere. Con tutto il contorno di congiure, delitti, tradimenti e violenza della miglior Inghilterra del Cinquecento.
Un’impostazione che, unitamente al ritmo serrato della narrazione, alla ricchezza di azione e alla “modernità” delle inquadrature, dà vita a una storia tutta al femminile (con note di femminismo ante litteram) giocata su due donne da un lato diverse (l’impavida condottiera e la maestosa regnante), tuttavia attratte dalle rispettive diversità, dall’altro uguali nel loro essere libere e ribelli, entrambe destinate a immolare, sull’altare del potere, l’una la vita, l’altra i sentimenti.
Nei panni di Elisabetta I, truccatissima per prima evidenziare, poi coprire, i segni lasciati sul viso dal vaiolo, la ventottenne attrice australiana Margot Robbie, la cui eccessiva durezza, anche fisica, ne frena tuttavia la sfida attoriale ad armi pari con la Ronan (difficile tra l’altro anche sottrarsi all’inevitabile raffronto con la Elizabeth della tuttora insuperata Cate Blanchett).
Ancora una volta bellissimi i costumi di Alexandra Byrne (già Oscar per “Elizabeth: The Golden Age”). Scene, fotografia e musiche di grande impatto, per una pagina di storia tra le più belle e avvincenti.