MILANO, mercoledì 6 maggio ●
(di Paolo A. Paganini) Addio zingarelle, addio esotismi spagnoli, addio festose corride. La señorita Carmen lascia la colorita e solare Siviglia e si trasferisce a Napoli, la Napoli dei “bassi”, truculenta e miserabile. Insomma, là dove Bizet aveva trasformato (1875) “Carmen” di Mérimée (1845), il simbolo della scuola verista, in una folklorica operazione musicale, con tanto di primadonna leggiadra, ancheggiante e provocante, più da varietée che da palcoscenico d’opera, ora viene restituita, con sordida felicità, allo spirito mediterraneo, grazie a un‘operazione di spudorata potenza espressiva, perpetrata da Mario Martone su “libretto” di Enzo Moscato, con undici orchestrali in buca, che non disdegnano di farsi comparse di lusso sul palcoscenico, e con una Carmen di carnale napoletanità, sanguigna e strafottente, interpretata da una Iaia Forte che pulsa di passionale libertà e di fatali ombre di morte.
In altre parole, per riprendere il nostro primigenio riferimento al passaggio da Mérimée a Bizet (operazione musicale tutta formale, intendiamoci, la sostanza viene rispettata, salvo l’introduzione funzionale del personaggio di Micaela), ora si assiste al recupero del verismo originale, riversato in salsa napoletana, quella, per capirci, tipica degli eccessi, delle passioni, della magnifica lingua vesuviana, degli smodati misticismi, tra altarini di santi e madonne… E il cerchio si chiude, anche se qui il cerchio, da Mérimée a Bizet, a Moscato, va per altre tangenti, non rispettando né la forma né la sostanza.
Ma il “verismo” è fatto salvo. Mérimée è recuperato. Non più zingarelle, ma donnacce di contrabbandieri, con vicende di passioni e coltelli, d’amore e morte, più di morte che di amore, la quale domina e grava pesantemente su una miserabile umanità, tragica e spensierata, dove tutto si traveste di gioia di vivere, dove tutto si fa perennemente sceneggiata, perché la vita non vale la pena di prenderla seriamente, ma fingere che lo sia, sì, con il tragico sberleffo finale di una tragica, smaccata ghignata. E ridiamoci su.
Ora, immaginate tutto questo in un coinvolgente allestimento di musica e prosa di un’ora e quindici al Piccolo Teatro Strehler, con gli stralunamenti bizetiani genialmente reinterpretati dagli undici elementi dell’Orchestra di Piazza Vittorio, direzione musicale di Mario Tronco. Qui, dal ventre di Napoli, esce la storia, la passione, la gelosia di Cosé e della capricciosa e fatale Carmen, mentre, cantando e suonando, si snudano le lame. Il sangue è caldo. La gelosia feroce. E luccica la lama d’un Cosé invasato di passione e di vendetta, che colpisce al cuore un ammanicato (oggi si dice colluso) tenente di polizia, e la stessa Carmen, non più uccisa, ma accecata.
E Cosé infine capisce. Altro che “L’amore è uno strano augello”! Cosé, il brigadiere disertore, l’assassino, il bandito – l’ingenuo – ormai ergastolano a Procida, ragiona: “Ogni storia d’amore quando supera i limiti della ragione è stupida”. No, corregge Carmen, “ogni stupido è preda d’una storia d’amore!”. Musica, maestro.
Iaia Forte, 53 anni gloriosamente portati, attrice di cinema con ricco medagliere di David (ultime apparizioni “Il giovane favoloso” e “La grande bellezza”), già in teatro con Servillo, De Berardinis, Cecchi eccetera, interpreta una Carmen, non più vittima ma vessillifera e propugnatrice di libertà. Finale coerente con tempi non storici. Oggi si preferisce l’acido per deturpare le donne. In scena, meglio una lama. Un’interpretazione di Iaia Forte d’affascinante impatto emotivo.
Roberto De Francesco, cinquantunenne di Caserta, qui, come “carattere”, fa Cosè, ottuso marmittone veneto (cliché di certi film del passato), è un “foresto” che si trova, spaesato, in una realtà che non capisce, e che mai capirà. Bravo e convincente.
E poi tutti gli altri, ottimi e troppi da nominare. Mario Martone, che ha curato l’adattamento del testo di Moscato e la regia, con alcune interessanti invenzioni (servito dagli agili ed efficaci piani girevoli e componibili di Sergio Tramonti, bella la trionfale torre scenica finale), ha ricercato e assecondato soprattutto la tragica esuberanza del carattere napoletano. Operazione riuscita.
“Carmen” di Enzo Moscato, regia di Mario Martone, direzione musicale di Mario Tronco. Con Iaia Forte, Roberto De Francesco. Al Piccolo Teatro Strehler, Largo Greppi 1, Milano – Repliche fino a domenica 17.