Marito geloso e vendicativo vuole far fuori l’amante. Ma meglio fare pace. E corna a lieto fine con ménage à trois

28.11 NINAMILANO, sabato 28 novembre (di Paolo A. Paganini) André Roussin (1911-1987) fu attore e drammaturgo francese.
Come drammaturgo s’impose nell’ambito del teatro leggero, boulevardier, così caro ai parigini che, nella Belle époque, ne fecero un mito innalzandolo ad opera d’arte con il vaudeville, piccante, imprevedibile, rigorosamente a lieto fine.
Come attore, Roussin imparò, da quel teatro, i tempi a mitraglia, l’incalzare delle battute senza respiro, i dialoghi serrati, dove anche l’azione, anche nei momenti più scorbutici, anche nelle incombenze apparentemente più drammatiche, imponeva sempre il diritto all’ultima parola ilare e sdrammatizzante, terminando magari nell’eterno bacio d’amore.
“Nina” (1949) considerata una delle sue commedie più squisitamente riuscite (nel ’93 con Nancy Brilli, Massimo Dapporto, Giovanni Crippa, nel 2008 con il terzetto Edy Angelillo, Carlo Alighiero, Fabrizio Frizzi), è coerentemente in linea con il gioco scenico dell’accennato teatro boulevardier. Sapida, pruriginosa, gaudiosamente godereccia e indifferente agli scrupoli morali , la commedia ne rispetta i canoni. E tuttavia non è del tutto spensierata. Certamente, fin dai primi anni del dopoguerra, Parigi aveva ripreso il suo allegro galop (i turisti bisognava pur riacchiapparli), tra champagne e “French can can” (genere esaltato da Jean Renoir nell’omonimo film, del ’54). Ma Roussin, rispetto al teatro boulevardier, rispetto perfino a Feydeau, aveva una marcia in più, cioè una inarrivabile freschezza dialogica, con l’aggiunta di un’acuta capacità descrittiva del suo tempo, avvertiva la perdita della felice e spensierata ingenuità fin de siècle. In superficie “Nina” sembrava recuperare le atmosfere della Belle époque, ma il miracolo della felicità, de la joie de vivre, è come appannato.
La vicenda di “Nina”, in scena ora al Teatro San Babila, è la storia dell’eterno triangolo: un borghese, onesto lavoratore e cocu; una giovane e avvenente moglie con il suo ultimo amante; e un elegante, benestante, ricco di suo, gran tombeur de femmes. Tutto sommato, è anche la storia di tre infelicità. Il marito becco è infelice perché sa; la moglie è infelice perché sa che i suoi amori son solo rapinose occasioni di sesso; il ricco amante è infelice perché sa che la propria vita si spreca inutilmente – e faticosamente – in frenetici cambi di lenzuola.
Lo snodo della godereccia commedia sembra girarsi bruscamente in tragedia, quando irrompe nell’accogliente appartamento il marito tradito, e, pistola in pugno, è deciso di uccidere il perfido amante per difendere il proprio onore. Ma poi, accorgendosi della sua infelicità e della sua accettazione della morte come una liberazione, non solo ne ha pietà, ma ne diventa amico. Affaticato travet di una vita nel grigio della monotonia, lui che sognava tante storie di donne, e ne ebbe una sola (e fedifraga), il pover’uomo è affascinato dalle esaltanti avventure erotiche di quel “seduttore” triste e annoiato. Ma ecco arrivare la donna per il periodico appuntamento delle cinque (ora canonica in molte storie d’amanti). Per farla breve, non ci scappa il morto, ma un ménage à trois. In comune accettazione dei diversi ruoli, come una specie di società di mutuo soccorso.
Altri intrecci e gustose varianti lasciamo alla curiosità dello spettatore, che passerà, senza troppo impegnarsi, un paio d’ore in schietta allegria. Non di sgangherate risate, piuttosto di appaganti sorrisi. Anche in virtù di questi nuovi, affiatati e ben amalgamati interpreti di “Nina”.
Vanessa Gravina è l’affascinante protagonista del titolo: conscia d’una femministica superiorità, non bambola sexy, ma autoritaria e sapiente dominatrice di sentimenti, specie nel gestire quelli dei suoi uomini bambinoni (non mi è dispiaciuta la sua sicurezza nell’affermarne il ruolo, segno dei tempi).
Edoardo Siravo, nel ruolo del marito, si adegua con bonaria accettazione, riuscendo a conciliare corna e onore in un consolante quietismo di mediocrità.
Riccardo Polizzy Carbonelli, dandy annoiato, schiavo di troppe donne e novello mistico di una fuga salvifica, dovrà a sua volta adeguarsi all’irruenza della donna. E del destino.
Bene e applauditissimi tutti e tre.
La regia di Pino Straboli e Patrick Rossi Gastaldi è scrupolosa quanto basta per adeguarsi, a loro volta, al sapido e scintillante testo di Roussin. (Una piccola curiosità. Perché pronunciare Ninà alla francese, con la “a” accentata? Tanto più che abbiamo acquisito il nome, senza accento finale, quasi come modo di dire popolare, grazie a un piacevole e farsesco film italiano del ’37, “Nina non far la stupida”).

“Nina”, di André Roussin, con Vanessa Gravina, Edoardo Siravo, Riccardo Polizzy Carbonelli. Al Teatro San Babila, Corso Venezia 2/A, Milano. Repliche fino a domenica 6 dicembre.