Matrimonio = manicomio. Sarà anche un detto popolare, ma per August Strindberg la vita familiare fu un vero inferno

(di Andrea Bisicchia) August Strindberg incontra la baronessa Siri von Essen nel 1873, moglie del barone Gustav, se ne innamora e la sposerà, dopo la separazione, nel1877. Si trattò di un matrimonio moderno, con parità di diritti e di doveri, con indipendenze reciproche, separazioni di beni e di stanze, un matrimonio che durerà fino al 1891 quando Siri porterà via con sé i bambini, lasciando il marito in uno stato di prostrazione. La relazione tempestosa era divenuta, nel frattempo, materia di testi narrativi e teatrali, in particolare di “Sposi” e di “Il padre”, ma soprattutto del romanzo familiare: “L’arringa di un pazzo” (1893), pubblicato da Adelphi, con cui si conferma la leggenda popolare, secondo la quale, esiste una correlazione tra matrimonio e manicomio, quando è vissuto come un magma senza confini, essendo, ogni matrimonio, oggetto di sentimenti diversi, se non opposti e contraddittori.
In fondo, la mente umana è un territorio “liquido”, occorre pertanto una mappa per attraversarlo e raggiungere un fine prefissato. Nella prefazione al romanzo l’autore, in una avvertenza al lettore scrive: “Questo è un libro atroce. Lo riconosco senza riserva e con cocente rimpianto”.
Strindberg fu accusato di misoginia, in verità, era un uomo innamorato della moglie sebbene questa, come ricompensa, gli avesse apparecchiato una vita disgustosa, condita, purtroppo, di meschinità, di piccoli calcoli economici, di ripicche, di scontri sessuali, tanto da rendergliela insopportabile.
L’autore racconta, con dovizia di particolari, le fasi dell’innamoramento, quelle della difficile vita coniugale, fatta di tradimenti veri o presunti, di menzogne, di attrazione-repulsione, di tenacia e debolezza, oltre che di spese matte che rendevano squilibrato il loro tenore di vita. Siri era sempre nervosa e sempre più isterica, la parentesi teatrale, vissuta come attrice non sempre protagonista, lo fu in “La signorina Giulia”, si era conclusa in maniera riprovevole e anche di questo vittima designata fu proprio il marito che, nel frattempo, si era fatto un nome come narratore e drammaturgo. Lei non riusciva a nascondere le sue collere, appariva sempre preoccupata, con lo sguardo distratto e indifferente a tutto, spesso il rancore le procurava uno strano piacere e la rendeva sempre più avida di potere.
Qualche volta l’inferno familiare si concedeva momenti di pausa purgatoriale, una specie di gong nei ring dei loro scontri che, spesso, erano diventati di dominio pubblico, specie per le relazioni illecite, con altre donne, da parte di Siri che lei definiva semplicemente dei giochi. Strindberg era geloso di tutti e di tutto, vedeva infangato il suo nome, la sua dignità, persino la sua paternità, specie quando Siri la mette in dubbio con la nascita della prima figlia, tema, questo, ricorrente ne “Il padre”, forse, il dramma più atroce che Strindberg abbia scritto, nel quale l’adulterio è vissuto come un delitto e dove la protagonista femminile vive il suo rapporto con una sconsiderata brama di sopraffazione sul maschio, durante il lungo duello che è stato il loro matrimonio. Come nel dramma, così nella vita, col divorzio, cala il sipario su una storia molto tormentata.

August Strindberg, “L’arringa di un pazzo”, Adelphi 2016, pp 284, € 19.