TIVOLI (Roma), estate 1989 ► (di Paolo A. Paganini) Di per sé è stata un’idea semplice e geniale. È stato preso il romanzo storico di Marguerite Yourcenar, “Memorie di Adriano” (1951), ridotto a monologo da Jean Launay, e trasferito nel più sbalorditivo palcoscenico che si potesse mai immaginare: i ruderi della stessa villa abitata dall’imperatore romano Adriano, a Tivoli. Villa Adriano è uno degli incanti della provincia romana. Questi ruderi emanano un fascino misterioso e inquietante. In una notte stellata, il vento scuote le chiome di alberi secolari tra voli radenti di pipistrelli sui rossi mattoni. Qui, il fantasma di Adriano evoca la propria vita, libera, spregiudicata, sensuale, tra imprese guerresche e guerre d’amore (compreso l’amore per il giovinetto Antinoo)…
“Ho cercato la libertà più che il potere, e il potere solo perché, in parte, consentiva la libertà…”, ricorda Adriano.
Il testo della Yourcenar è tutto uno scorrere di alti e sconvolgenti momenti teatrali.
Eppure, il fatto teatrale, pure altissimo, con al centro la superba e sofferta interpretazione di Giorgio Albertazzi, è stato come travolto dalla morbosa curiosità per un episodio di guerra (rivangato impietosamente proprio in quei giorni, coinvolgendo in prima persona il protagonista, allora diciannovenne nel 1944 – N.d.r.).
Nel testo della Yourcenar ci sono parole di fuoco, che Albertazzi ha fatto sue. Parole brucianti di dolore, di disperazione, di angoscia, che l’attore grida ogni sera davanti a un pubblico attento e turbato, che in lui scruta più l’uomo che il personaggio di Adriano. “Conto su questo esame dei fatti per definirmi, forse anche per giudicarmi o, almeno, per conoscermi meglio prima di morire..”
Un brivido fra il pubblico.
E ancora: “… Sono stato buon soldato, non grande uomo di guerra; amatore d’arte, non artista…; capace di delitti, ma non carico di delitti…”
E poi: “Mi sforzo di ridurre il mio delitto, se tale dobbiamo chiamarlo, a proprorzioni esatte… La morte di Antinoo è un problema, oltre che una sciagura, per me solo…”
Queste parole, che la Yourcenar mette in bocca a Adriano/Albertazzi, hanno evocato altri significati, altri fantasmi. Sapevano improvvisamente di terra, di sangue, di violenze antiche. Che Albertazzi ha fatto sue, con sgomento e smarrimento, ora che Adriano sente avvicinarsi la fine.
E, in un monologo/biografia, rivolto al giovane Marco Aurelio, si interroga sul senso dell’esistenza, sull’essenza della vita, raccontando la sua avventura umana, non come imperatore, ma come uno di noi, accettando i brividi delle passioni e le trappole della vita, o, meglio, del teatro della vita, con anima limpida e disincantata… “Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo… che cerca di entrare nella morte a occhi aperti…”
Abbiamo ripreso una parte della recensione pubblicata su “La Notte” nell’estate 1989, perché “Memorie di Adriano” fu spettacolo amatissimo da Giorgio Albertazzi, che replicò, in diverse edizioni, per più di vent’anni, in 800 repliche con centinaia di migliaia di spettatori. È considerato il manifesto della vita e dell’arte dell’attore scomparso, che ha sempre sentito il capolavoro della Yourcenar come una specie di autobiografia. Nelle gioia e nel dolore. Quasi un testamento spirituale… (p.a.p.)