
Milano. Valentina Banci e Mauro Malinverno in “La cantarice calva” di Ionesco, regia di Massimo Castri (foto Baldassarre Amodeo)
(di Paolo A. Paganini) A un anno dalla morte di Massimo Castri, il Piccolo Teatro di Milano ha voluto ricordarlo e rendergli omaggio con la rappresentazione della sua ultima regia, “La cantatrice calva”, breve pièce comico-satirica di poco più di un’ora, che, tutto sommato, può simbolicamente enucleare, nel suo duro nocciolo provocatorio, i cinquant’anni di teatro del regista scomparso. Aveva cominciato come attore, ma, presto, fin dagli anni ’70, si era dedicato alla regia, non disdegnando suggestive ricerche sperimentali, in una sventagliata di allestimenti di assoluta fedeltà filologica. Nulla lasciò inesplorato: Shakespeare, Pirandello, Brecht, Sofocle, Cechov, Goldoni, Strindberg, e poi Genêt, Beckett, infine Ionesco, con questa “Cantatrice calva”.
Rappresentata nel 1950, lasciò allora il pubblico parigino tra lo stupito e l’indignato, comunque sconcertato. Fin dal titolo, che indica un personaggio che non esiste, ma appena citato in un dialogo di strampalati nonsensi. D’altra parte, nulla ha senso in questa anti-pièce, anti-psicologica, anti-boulevardière, anti-tutto-quello-che-volete, in un delirio di parole sintatticamente corrette ma in una confusa orgia di anarchici significati in libertà e di imbarazzati silenzi in assoluta apnea cerebrale. Eppure, nelle intenzioni di Ionesco, la “Cantatrice” non è soltanto assurda per questa sua assenza di logicità.
In un interno borghese di un’abitazione nei dintorni di Londra, fra due coppie, una serva insolente e un pompiere in cerca d’incendi, lo stesso autore definì la non trama della pièce una satirica “tragedia del linguaggio” per mettere alla berlina il vuoto e abitudinario conformismo inglese. Gli stessi dialoghi, è stato scritto, traggono origine dai tanti manuali di frasi fatte, ripetitive e banali, per apprendere la lingua inglese. Ma, si badi, non vuole solo essere una scarnificante satira della piccola borghesia inglese, bensì, secondo l’autore, anche una satira della piccola borghesia universale, di un conformismo che si ritrova ovunque.
Oggi, dopo più di sessant’anni, la carica satirica di questa assurda “Cantatrice” s’è diluita in un altro anticonformismo che ha ormai travolto ogni regola d’ingessato bon ton e di canonici riti salottieri. È rimasto l’impianto comico, questo sì, che anche adesso, nella celebrazione del Piccolo Teatro, ha scatenato nel pubblico una marea di risate e di applausi, anche se nessuno, credo, s’è reso conto di un’altra “tragedia del linguaggio” contemporaneo: parole in libertà, dai molti e confusi significati politici, sociali, commerciali, non vuoti ma truffaldini, che hanno lo scopo di bombardare e appiattire le onde cerebrali non più d’un conformismo all’inglese ma d’un libero pensiero senza condizionamenti. Forse è stata questa l’eredità “politica” di Massimo Castri con questa “Cantatrice calva”. Gli interpreti, applauditissimi: Mauro Malinverno, Valentina Banci, Fabio Mascagni, Elisa Cecilia Langone, Sara Zanobbio, Francesco Borchi.
“La cantatrice calva”, di Eugène Ionesco, regia di Massimo Castri, in scena al Piccolo Teatro Grassi, Via Rovello 2, Milano, fino a domenica 26 gennaio
Tournée
SOLOMEO (PG), Teatro Cucinelli – 2 febbraio.
CREMONA, Teatro Ponchielli – 4 e 5 febbraio.
CARRARA (MS), Teatro Garibaldi – 14 e 15 febbraio