MILANO, giovedì 17 dicembre ►(di Emanuela Dini) Trentasette anni e oltre mille repliche e non accorgersene. E lui, Maurizio Micheli, solo sul palco, con una scenografia rotante che ripropone di volta in volta i vari ambienti (il camerino, il malridotto teatrino-night, la sua camera da letto) in cui si muove lo scalcinato protagonista, un attore quarantenne costretto ad esibirsi tutte le sere davanti a un pubblico cafone e che sogna la svolta: diventare famoso e riscattarsi affrontando l’indomani un impegnativo provino con “Lui”, il Regista, il mostro sacro per antonomasia: Giorgio Strehler. E passa in rassegna tutte le modalità con cui presentarsi a “Giorgio” dimostrandogli la sua versatilità in campo teatrale.
Un testo storico, riproposto fedelmente così come era stato scritto nel ’78 e che non ha perso smalto, anzi, e disegna con ironia, tenerezza e tempi comici serrati e sferzanti gli sforzi e le nevrosi degli attori che agognano al grande balzo.
Il sorriso disincantato, la mimica, lo sfottò, la straordinaria capacità di transitare da una situazione all’altra, cambiando espressione, dialetto, cadenze e posture in un nanosecondo, il percepibile divertimento dello stare in scena sono rimasti intatti e solo qualche ruga in più sul volto di Micheli (e ci sta… visti i suoi splendidi 68 anni portati con grande nonchalance) ricorda che sono passati quasi 40 anni dal debutto di “Mi voleva Strehler” al Teatro Gerolamo, quel 15 novembre 1978.
Il pubblico in sala – gremitissima – ride e si diverte, applaude frequentemente a scena aperta, accompagna canticchiando le musiche famose di quegli anni, si identifica ricordando un’epoca di gran fermento, con i suoi sogni, i suoi miti teatrali, i vezzi intellettuali. E le quasi due ore di spettacolo, con intervallo di 15 minuti, volano.
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In occasione della ripresa milanese di “Mi voleva Strehler”, Maurizio Micheli racconta a “Lo Spettacoliere” non solo come è nato uno spettacolo “cult”, ma anche tanto altro…
«Lo spettacolo è nato nell’estate del 1978, io ero allievo e amico di Umberto Simonetta che proprio quell’anno era diventato direttore del Teatro Gerolamo e mi aveva proposto di scrivere un testo sulla vita e esperienze di un attore. In effetti c’è molto di vero e di autobiografico nel personaggio: anch’io, ai tempi, facevo cabaret e aspettavo la grande occasione; anch’io avevo alle spalle le scuole di teatro e una laurea al glorioso Dams di Bologna; anch’io avevo seguito con entusiasmo e stupore le esperienze teatrali all’avanguardia in quegli anni ’70, come il Living Theatre di New York che venne ospite all’università di Bari, dove vivevo e studiavo… insomma, il materiale c’era tutto. Scrivemmo a quattro mani e al momento del titolo ci fu da scegliere. Simonetta aveva proposto “Mi ha chiamato Strehler”, ma io rilanciai con un “Mi voleva Strehler”, che fa più parte del gergo di noi attori, sempre pronti a vantare chiamate prestigiose – chissà mai quanto veritiere – lasciate cadere con noncuranza “perché la messa in scena non mi convinceva….”.
«Il bello è che poi, molti anni dopo, Strehler mi chiamò davvero, per un testo tragico e tremendo del 1763, la “Minna von Barnheim” del drammaturgo tedesco Ephraim Lessing, ambientato durante la guerra dei Sette Anni tra sassoni e prussiani. E davvero dissi di no, perché ero impegnato in un varietà televisivo a Napoli e perché, sotto sotto, non mi vedevo tanto bene nei panni drammatici di un ufficiale prussiano.
«Perché io sono nato comico e mi sento comico “dentro”, ancora adesso. La comicità è un gene, te la devi sentire addosso, devi guardarti allo specchio e non prenderti sul serio, devi alzarti, camminare, mangiare, farti la barba e intanto pensare a come far ridere la gente… ogni sera, quando vado in scena è il mio primo pensiero… come faccio a farli ridere? e sono loro, seduti in platea, a darmi la carica, ogni risata, ogni scoppio d’allegria è un’iniezione di energia… e anche dopo oltre mille repliche sono sempre lì ad aspettare la risata, per ricaricarmi e andare avanti.
«Nel teatro-culto di Milano, al Piccolo, ci arrivai solo moltissimo tempo dopo, nel 2004, quando Strehler era già morto (morì la sera di Natale del 1997, n.d.r.), per una delle tante repliche dello spettacolo… ventisei anni dopo il suo debutto!
«Un giovane aspirante attore di oggi, anno 2015, non sogna certo un provino con uno Strehler, intanto perché non c’è nessun maestro all’altezza di uno Strehler, e poi perché le dinamiche dello spettacolo e della popolarità passano da altre strade, prima tra tutte la televisione. Ma prima ancora, a un ventenne che vuole fare l’attore, chiederei di mettersi davanti allo specchio e capire chi è e cosa vuol diventare. Sogni il teatro e i testi drammatici? Allora la strada è quella dell’accademia e delle scuole rigorose. Ti senti un talento comico e vuoi far divertire la gente? Allora, buttati! Fatti aiutare a scrivere e presenta testi nuovi e brillanti, non snobbare la tv, ma attrezzati per imparare a “usarla”.
«Infine, un consiglio per tutti: andate tanto a teatro, andate a vedere di tutto, girate, guardate, osservate, fate memoria di quel che più vi piace e… rubate, rubate, rubate! Prima o poi, vi servirà».
“Mi voleva Strehler”, di Umberto Simonetta e Maurizio Micheli, con Maurizio Micheli – regia di Luca Sandri – al Teatro Franco Parenti, via Pierlombardo 14, Milano. Repliche: fino a domenica 20 dicembre, poi da martedì 29 a giovedì 31 dicembre (31 dicembre: replica speciale)