MILANO, giovedì 10 novembre ♦ (di Patrizia Pedrazzini) La Madonnina ricoperta di stracci, affinché i bombardieri anglo-americani non ne individuino il luccichio. La “Strage degli innocenti” della scuola di Gorla e le brande delle improvvisate infermerie nei rifugi antiaerei. Villa Triste e la casa di tolleranza di via Chiaravalle. Bambini che giocano a tappi in strada e la “Belva di via San Gregorio”. Lo stabilimento della Innocenti a Rubattino e il QT8. De Gasperi in visita a quello che diventerà il Museo della Scienza e della Tecnica e la prima cabina telefonica in piazza San Babila. La Lambretta e il frigorifero Breda.
Solo dieci anni di storia in tutto, dal 1943 al ’53, ma sembrano molti di più, tanto dettagliatamente li ripercorre, e li illustra, la mostra “Milano, storia di una rinascita. 1943-1953 Dai bombardamenti alla ricostruzione”, a Palazzo Morando fino al prossimo 12 febbraio. Circa 170 immagini d’epoca, video, documenti, reperti bellici, oggetti di design, cimeli, manifesti, a raccontare una stagione insieme tragica ed esaltante, che parte dalle macerie e dal dolore di una città “insudiciata dalla morte” per giungere, nel breve spazio di un decennio, non solo alla ricostruzione materiale di strade, edifici, luoghi di lavoro, ma anche alla realizzazione di una sorta di “riscatto” per sé e per l’intero Paese. E del quale ancora oggi la gente di Milano continua ad essere erede.
“Invano cerchi tra la polvere, povera mano, la città è morta. È morta: s’è udito l’ultimo rombo sul cuore del Naviglio”, cantava Salvatore Quasimodo in “Milano, agosto 1943”. Ma la città non era morta. Si sarebbe ripresa, di lì a pochi anni. Con Arturo Toscanini sul podio della Scala a dirigere il trionfale concerto di riapertura nel maggio del ’46. Con l’abbattimento di edifici storici anche di pregio, magari danneggiati se non marginalmente, tuttavia sacrificati alla modernità, come il vecchio Palazzo Trivulzio, o il Teatro Manzoni di Piazza San Fedele. Con l’avvio della stagione delle balere e delle osterie. Con la realizzazione di quartieri periferici oggi in gran parte squallidamente imbruttiti, ma certo allora sinonimo di modernità e benessere, e i progetti firmati dagli architetti Moretti, Figini, Pollini, Bottoni, Portaluppi. Il tutto magistralmente immortalato nelle decine e decine di fotografie in bianco e nero che costituiscono l’ossatura della mostra, chiamate a far riemergere dalla Storia i volti, i drammi, la quotidianità di una Milano certamente scomparsa, ma nella quale riesce stranamente facile identificarsi ancora.
Solo sei anni separano le facce scavate dei milanesi intenti a comprare michette e bastoncini di pane alla borsa nera di via Conca del Naviglio, poco prima della fine della guerra, dalle comparse vestite da spazzini radunate in piazza del Duomo per le riprese di “Miracolo a Milano” di Vittorio De Sica, nel ’51.
Un decennio. Tanto è bastato per ricominciare da capo e porre le basi per un mondo nuovo ancora tutto da costruire. Non più orti di guerra, rovine e il rombo sinistro di “Pippo”, il monomotore che di notte sorvolava la città a bassa quota, minaccioso e incombente. Dieci anni dopo è già tempo di teatri, di design, delle prime trasmissioni Rai, avviate nel gennaio del ’54.
Allora, finalmente, ci si può concedere di ammirare, nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, anch’essa fortemente sfigurata dai bombardamenti, il capolavoro di Pablo Picasso, “Guernica”, trasferito a Milano nell’ambito della retrospettiva dedicata al pittore spagnolo. È il settembre del 1953 e da allora la grande tela (la foto dello storico evento conclude la mostra di Palazzo Morando) non verrà mai più esposta in Italia.
“Milano, storia di una rinascita. 1943-1953 Dai bombardamenti alla ricostruzione”, Palazzo Morando/Costume Moda Immagine, via Sant’Andrea 6, Milano. Fino al 12 febbraio.
www.milanostoriadiunarinascita.it