Milano celebra Segantini: più di 120 opere per raccontare la luce e le emozioni di un gigante della pittura

collage segantiniMILANO, mercoledì 17 settembre
(di Patrizia Pedrazzini)La prima volta che presi in mano una matita per disegnare sul serio fu udendo una madre che, piangendo la bimba morta, diceva alle vicine: “Oh avessi almeno il suo ritratto! Era tanto bella…”. Una delle donne additò me dicendo: “Fatelo fare da quel ragazzo lì il ritratto! Egli è molto ingegnoso”. Non so se il lavoro sia riuscito artistico o no, ma mi ricordo di aver visto la madre un istante così felice, che pareami dimenticare il dolore. Io non ripresi a disegnare che molti anni più tardi; però fu forse questo il germe che mi fece nascere l’idea che con questo mezzo avrei potuto esprimere dei sentimenti”.
Giovanni Segantini (1858-1899) non si descrive. Si guarda. Si contempla. Si ammira. In silenzio. Con la lentezza che è dovuta alle cose grandi. Come davanti alla luce e alla pura bellezza dei paesaggi alpini, che nelle tele di questo gigante della pittura trovano la loro più autentica espressione. E, alla fine, possibilmente, si ama.
La grande mostra che il capoluogo lombardo ora gli dedica (a Palazzo Reale, fino al 18 gennaio) nell’ambito del progetto “Milano Cuore d’Europa” rappresenta, senza ombra di dubbio, un’occasione unica per ripercorrere l’evoluzione artistica di Segantini, rileggerne gli incontri con la Scapigliatura, il Divisionismo, il Simbolismo, infine il Liberty, perdersi nelle emozioni profonde e nella straordinaria sensualità delle sue opere.
Non staremo qui a soffermarci più di tanto sulle tappe della sua breve vita, che sembra uscita da un romanzo di Dickens: la nascita umile ad Arco di Trento, la madre che muore quando lui ha appena sei anni, l’affidamento a una sorellastra a Milano, le fughe, l’arresto per vagabondaggio, l’ingresso al Correzionale Marchiondi, l’aiuto di un buon prete che ne intravede l’ingegno, gli studi a Brera, gli anni dei riconoscimenti, l’evasione sui monti dell’Engadina, la morte per peritonite in una baita a quasi tremila metri sopra Pontresina, bloccato da una tempesta di neve mentre cerca di dare le ultime pennellate al maestoso “Trittico delle Alpi”.
Limitiamoci alla retrospettiva. Oltre 120 opere (64 i disegni, quasi tutti accostati ai relativi dipinti) provenienti da musei e collezioni private europee e statunitensi, e molte delle quali mai esposte in Italia, o esposte oltre un secolo fa; 1.500 metri quadrati di esposizione; un percorso tematico (non cronologico, quindi) suddiviso in otto sezioni. Manca, certo, per ovvie ragioni logistiche, il colossale “Trittico”, con i suoi “La vita”, “La natura” e “La morte” (i tre quadri hanno dimensioni che vanno dai 190×320 ai 235×400 cm.), visibile al Museo Segantini di St. Moritz, ma, di sezione in sezione, è un crescendo di capolavori. Dagli autoritratti al luminoso candore della neve che ammanta i Navigli milanesi; dai ritratti (valga per tutti quello di Barbara Huffer) alle nature morte; dai quadri destinati a immortalare la vita dei campi (“Dopo il temporale”, “Allo sciogliersi delle nevi”, “Ritorno all’ovile”, “I miei modelli”, “Sul balcone”, per non citarli tutti) ai grandi paesaggi (ed ecco “Alla stanga”, affiancato dal disegno). Dai disegni, appunto (come descrivere la perfetta poesia di “Pastore addormentato”?) alla natura che si fa simbolo: “Ritorno dal bosco”, “Mezzogiorno sulle Alpi”, e quel capolavoro assoluto che è “Ave Maria a trasbordo”, del quale sono esposti il dipinto a olio e le versioni a penna e inchiostro, gessi, carboncino e gesso, pastelli. E ancora “L’ora mesta”, “Le due madri”, “Pascoli di primavera”. E, a concludere, “L’angelo della vita”.
Una mostra monografica come non se ne vedevano da tempo a Milano. Certo, Segantini fu, ancora in vita, fra i pittori meglio pagati del suo tempo, e le sue opere già prima della morte erano entrate a far parte di collezioni pubbliche olandesi, belghe, tedesche, austriache, ungheresi e inglesi. Poi, però, il Futurismo, la Grande Guerra e il successivo Fascismo lo relegarono nel limbo del provincialismo. Fino alla seconda metà del Novecento. Ora la città, nella quale Segantini trascorse 17 anni, dal 1865 al 1881, e che rimase poi sempre per lui il punto di riferimento culturale, anche quando i toni caldi e i colori pieni delle opere lombarde lasciarono spazio alla luce rarefatta delle Alpi e alla polvere d’oro che utilizzava – antica tecnica rinascimentale – per conferire una ancora maggiore luminosità agli sfondi, gli rende pienamente omaggio. Da vedere.

La mostra, coprodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Skira Editore, in collaborazione con Fondazione Mazzotta, è curata da Annie-Paule Quinsac e da Diana Segantini, pronipote dell’artista.

www.mostrasegantini.it