Milano e il Cinema: 200 foto, locandine, manifesti e video per “girare” la storia di un amore lungo più di cent’anni

Totò e Peppino De Filippo durante le riprese di “Totò, Peppino e la… malafemmina” (1956)

MILANO, giovedì 8 novembre ► (di Patrizia Pedrazzini) Milano, 1896 e anni immediatamente successivi. Risale ad allora l’allestimento, in un baraccone della fiera di Porta Genova, del primo “modello” di cinematografo (uno strumento che funzionava sia da camera che da proiettore), importato in Italia dalla Francia dei fratelli Lumière (che lo avevano brevettato nel 1895). Di lì a un decennio, nel 1907, nella medesima fiera, di padiglioni cinematografici se ne contavano dodici, al culmine di una fase di sviluppo che si arresterà di fatto solo nel ’13, alla soglia del primo conflitto mondiale.
Incomincia così, a Palazzo Morando, il percorso espositivo della mostra “Milano e il Cinema”, che fino al prossimo 10 febbraio si propone di raccontare, attraverso circa 200 tra fotografie (la gran parte), manifesti, locandine e contributi video, il rapporto fra il capoluogo lombardo e lo sviluppo dell’industria cinematografica. Dalle prime sperimentazioni degli anni Dieci all’epoca d’oro degli anni Sessanta, fino alle produzioni più recenti, caratterizzate dalla nascita di un genere commedia tutto milanese che ruota intorno ai nomi di Renato Pozzetto, Adriano Celentano, Diego Abatantuono, Aldo Giovanni e Giacomo, solo per citarne alcuni.
Un lavoro cronologicamente preciso, che non tralascia alcunché, nemmeno il temporaneo trasferimento, durante il Ventennio, dell’industria filmica che, da Milano, approda ai teatri di posa della neonata Cinecittà. E in effetti nella mostra milanese c’è tutto, o quasi. Gli stabilimenti cinematografici del fotografo e cineasta Luca Comerio a Turro, la “Musical Film” dell’editore Renzo Sonzogno, la città che, solo nel 1908, arriva a vantare 70 sale di proiezione, sparpagliate per il centro, ognuna presidiata da un imbonitore in divisa, col compito di richiamare l’attenzione dei passanti. E poi i film, i registi, gli attori. “Gli uomini che mascalzoni” di Camerini, “Cronaca di un amore” di Antonioni, “Miracolo a Milano” di De Sica. Mentre nemmeno tanto lentamente la città si trasforma, diventando sempre più esuberante, caotica e ricca, meta e miraggio degli emigrati dal Sud: ecco allora “Napoletani a Milano” di De Filippo e “Siamo tutti milanesi”, di Landi. E, in parallelo, la città che a ritmi vertiginosi si fa sempre più moderna, ma anche più fredda e dura. Dagli anni Sessanta al buio dei Settanta è un attimo: “La vita agra” di Lizzani, “Rocco e i suoi fratelli” di Visconti, “La notte” di Antonioni, “Il posto” di Olmi, “Teorema” di Pasolini.
E ancora i film che ruotano intorno all’identificazione fra città e fabbrica (“La classe operaia va in paradiso”, di Petri, “Delitto d’amore” di Comencini), e tutta la serie dei “poliziotteschi” interpretati dai vari Tomas Milian, Claudio Cassinelli, Henry Silva e tanti altri. E la comicità surreale (quella già di Tino Scotti e di Dario Fo), che fa tanto “milanese”, sempre velata da una patina di tristezza, così diversa da quella romana, per esempio (basti pensare alla differenza fra un Renato Pozzetto e un Carlo Verdone). E avanti, fino a “Gli sdraiati” di Francesca Archibugi, del 2017: la Milano di oggi, con i suoi grattacieli, il suo bosco verticale, la sua volontà di svettare anche al di là, e oltre, le guglie pure insostituibili del Duomo.
Una Milano, certo, sempre più fotogenica e variegata nel suo trasformarsi, di volta in volta, in un sempre nuovo e diverso set cinematografico. Sono lontani i tempi dei primi filmati Lumière, per i quali pareva che esistesse solo piazza del Duomo. Ma una Milano pur sempre, oggi come allora, discreta, riservata, quasi distaccata. Nella quale si va affermando un modo di fare cinematografia fortemente legato ai temi dell’imprenditorialità e del denaro, che le sono del resto particolarmente consoni. E che si concretizza nella cinematografia industriale (a metà tra il documentario e la comunicazione promozionale) e in quella di animazione, quindi pubblicitaria (già qualche decennio fa, il 95% dei Caroselli era “milanese”, ideato o girato nel capoluogo lombardo).
Una mostra che riesce a passare come se niente fosse dai casermoni popolari di Cinisello Balsamo di “Romanzo popolare” (con una giovanissima Ornella Muti) di Mario Monicelli ai selciati lividi e spietati de “I cannibali” (e della loro moderna Antigone) di Liliana Cavani, a Ernesto Calindri che, seduto a un tavolino nel bel mezzo di un incrocio, sorseggia serafico il suo Cynar, “contro il logorio della vita moderna”. A tutto aprendosi e tutto facendo proprio. Più Milano di così.

“Milano e il Cinema”, Milano, Palazzo Morando, Via Sant’ Andrea 6. Fino al 10 febbraio 2019.
www.mostramilanoeilcinema.it