MILANO, domenica 8 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) Ci voleva un napoletano, Gennaro Cannavacciuolo, per celebrare Milly, un mito del varietà, della canzone, e – in fondo – di Milano? Diciamo di sì. Dopo che Milano si è slanciata alta nei cieli di Lombardia, con i suoi grattacieli e – ebbra di Expo – con le sue gloriose ambizioni (per esempio, riaprire i Navigli, ch’è la più grossa boiata del secolo, per la delizia di pantegane e zanzare), non è rimasto più niente della “milanesità”, del dialetto, della sua cultura popolare. E allora ben venga il cinquantasettenne cabarettista partenopeo Cannavacciuolo, che non è l’uiltimo arrivato e vanta un eterogeneo curriculum di esperienze eduardiane, teatrali, cinematografiche e tv, con un prestigioso medagliere di riconoscimenti.
Ha il solo torto di arrivare fuori tempo massimo. Oggi, il varietà è finito, la rivista boccheggia, le canzoni si sono involate verso il pop, il cabaret è sepolto. Sono rimasti i nomi, come una commemorazione. Cannavacciuolo si muove fra tombali rimembranze.
Ora è toccato a Milly, domani a De Sica.
Milly, già, ma quale Milly? Canzonettista e stella del varietà, fin dai suoi primi passi, con il trio di fratelli Milly-Toto-Mity, si lanciò, con successo e fascinosa seduzione, nel mondo del palcoscenico, in una vita costellata di incontri adoranti e di prestigiosi spasimanti, dal Principe Umberto a De Sica, a Pavese. Se ne parla nello spettacolo cabarettistico di Cannavacciuolo, con l’ambizione di mettere in scena un mini-varietà, cantante, sax e piano, da una parte ammiccando a Paolo Poli, dall’altra a una voglia inesistente di passerella.
In un’accogliente saletta del Franco Parenti, dietro il bar, che si presta ad acconce atmosfere di piccoli spettacoli da camera, non c’è nessuna gloriosa passerella su cui sfilare alla fine dell spettacolo con l’ultimo ta-ta-pum. Ma l’impostazione dello spettacolo è quella.
Da un punto di vista biografico, nelle caricature del cabarettista napoletano, Milly vien fuori malconcia.
Impudente, volgare, con propensione a un genere erotico popolar-vaginale, Cannavacciuolo ricostruisce un’immagine posticcia di una grande artista, cara a generazioni di appassionati cultori, ma assente, qui, sul piano umano, salvo una spolverata di biografiche annotazioni in due tempi di 40 minuti ciascuno.
Il primo è dedicato alle maliziose canzoni d’epoca del café chantant, tra leccorniosi doppi sensi, che – ai tempi di Petrolini, Maldacea, Pasquariello, la Fougère, Anna Fougez, la Bella Otero, e mettiamoci anche Marinetti – mandavano in visibilio studenti e commendatori. Il secondo è più corposo. Coincide pressappoco con l’incontro di Strehler nella brechtiana “Opera da tre soldi”, nel ’56. Ma il periodo milanese finisce lì. E sappiano che non è così. Basterebbe parlare con l’anziano regista Filippo Crivelli, o con Franco Friggeri (memoria storica della milanesità, da quella sua privilegiata postazione che fu il Teatro Gerolamo), per capire cos’è stata Milano nella vita di Milly, piemontese di nascita ma milanese d’adozione.
Non si dice, per esempio, che nel 1923, la diciottenne Milly debuttò con i fratelli al Teatro Apollo, ricavato in un sotterraneo sotto i portici di Piazza del Duomo. Non si dice che nel ’30 approdò al Lirico con “Il cavallino bianco”, a metà tra l’operetta e la rivista. E non si accenna, nello spettacolo di Cannavacciuolo, che proprio qui, a Milano (e sarebbe stata una bella furbata), Milly sfiorò anche il Filodrammatici (1978), la Sala Azzurra. E soprattutto ebbe gloria eccelsa al Gerolamo (il periodo più intenso della sua vita), il teatrino di Piazza Beccaria, che ospitò l’intero Gotha della prosa e della canzone, da Franca Valeri alla Borboni, dalla Vanoni a Maria Monti. Qui, nel 1962, fu varato quel trionfale “Milanin Milanon” dalle molte vite, regia di Crivelli, con Milly, Tino Carraro, Enzo Jannacci, Anna Nogara, Sandra Mantovani. Direttore Carletto Colombo, organizzatore Franco Friggeri.
Cantò molte canzoni in milanese, che, grazie al fantasista napoletano, tutt’oggi strappano lacrima furtiva a molti anziani all’ascolto.
E allora diciamo che Gennario Cannavacciuolo, con amore e generosità, ha giustamente aperto, pur con i suddetti limiti, un antologico capitolo musicale di glorie patrie. E, in questo dimentico mondo, riconosciamogli, con piacere, questo merito.
“IL MIO NOME È MILLY”, con Gennaro Cannavacciuolo, regia Gennaro Cannavacciuolo – Pianoforte Dario Pierini, Sax-contralto Andrea Tardioli – Repliche fino a domenica 22 ottobre.
www.teatrofrancoparenti.it