Miti e psicologia del profondo, ma per Hillman il conflitto non è con il padre: il complesso di Edipo si chiama città malata

collage figure mito(di Andrea Bisicchia) I miti greci non erano dei semplici racconti, bensì dei veri e propri archetipi dei comportamenti umani, nel senso che ne contenevano le ansie, i sogni, le aspettative, i bisogni, le sofferenze, insomma, quel mondo interiore che verrà chiamato psicologia del profondo. Scrivendo “Figure del mito”, Adelphi editore, James Hillman (1926-2011), parte da questa tesi, sostenendo che, in assenza di miti e di divinità, per comprendere le nostre scissioni e i disturbi della nostra psiche, si debba ricorrere alle ombre del passato, agli archetipi antichi.
Oggi si può accedere, ai miti classici, con codici di lettura che appartengono a discipline diverse, e che riguardano la storia delle religioni, della sociologia, dell’antropologia, dell’antichistica, della psicologia, sono codici che si sviluppano attraverso la comparazione, l’associazione, la ricerca di identità, concepita, non soltanto come ricerca di sé, ma come ricerca del mondo. In questa prospettiva, muta il metodo analitico, in quanto il suo accesso non riguarda soltanto la psiche, ma anche la società nella quale la psiche si è costruita. Hillmann è convinto che, per evitare che tutti i miti ritornino a quello di Edipo, occorra ricercarne le evoluzioni che sono avvenute durante il viaggio che porta Edipo da Tebe a Colono, ovvero durante quel tragitto di conoscenza che non riguarda più il suo Io, bensì il rapporto con gli altri, in particolare, con la città e, quindi, non più solo con la famiglia.
Hillman analizza tante figure del mito: Dioniso, Atena, Ananke, Marte, Afrodite, Apollo, Eros, Era, in esse riconosce le strutture archetipiche che verranno utilizzate dalla psicologia analitica. Pur leggendo, per esempio, il mito di Dioniso, partendo dagli scritti di Jung e Nietzsche, egli riconosce come gli attributi che gli venivano accordati, riguardassero l’isteria, la possessione, i lati oscuri della psiche, la dissociabilità, la follia, patologie che solo lo psicanalista riesce a guarire, risalendo alle origini della malattia. Le divinità, indicate sopra, diventano, in questo modo, foriere di eventi psichici anormali, di stati morbosi, di disordine, di afflizione; è come se il patologico avesse sempre bisogno del mito per essere compreso e che il rimedio possa avvenire soltanto con la terapia.
I tragici greci si richiamavano ad Ananke quando la situazione era disperata, nessun eroe poteva sconfiggerla, essendo un nodo dal quale era difficile liberarsi. Anche Edipo è sottoposto alla legge di Ananke, ma la lettura che ne dà Hillman è ben diversa da quella freudiana, dato che egli sposta tutto sul piano del suo rapporto con la città malata, di cui vuol conoscerne il motivo, tanto che la sua analisi diventa autoanalisi, mentre il suo conflitto non è più col padre, ma con ciò che sta succedendo ai suoi cittadini, in questo senso il suo diventa un vero e proprio viaggio terapeutico. Di Freud, Hillman conserva il metodo, per lui il mito di Edipo appartiene alla “meta-hodòs” dell’analisi junghiana, ovvero al divenire consapevoli attraverso il viaggio di conoscenza di sé. Come per Edipo, la nostra cecità si rivela nei metodi che usiamo per vedere. Chi voglia capire la differenza tra bellezza e pornografia, legga il capitolo dedicato ad Afrodite: “La follia rosa”.

James Hillman, “Figure del mito”, Adelphi Editore, 2014, pp. 358, euro 32