(di Andrea Bisicchia) Una delle teorie più note e più diffuse è quella che, alle origini del teatro, ci siano mito e rito, lo stesso, credo, possa dirsi per le origini della psicanalisi, ovvero della scienza che ricerca, nel mito, lo specchio della nostra psiche. Ugo Fama, in un volume appena pubblicato da Moretti & Vitali, “Lo specchio di Dioniso”, ritorna sulla figura archetipica a cui è legata la perdita della centralità dell’Io, conseguenza di tutte quelle forme dell’eccesso che caratterizzano il dio della vitalità, dell’ebbrezza, dell’ambivalenza, della rottura dei limiti, della scissione, della fragilità, insomma di tutti quei reperti culturali che lo psicoterapeuta trasforma in progetti di cura, consapevole del fatto che il lavoro analitico possa corrispondere alla costruzione di una narrazione che, a sua volta, diventerebbe il risultato del confronto dialettico che si instaura tra paziente e analista.
L’autore, prima di pervenire alle sue conclusioni, fondate sull’importanza del gioco terapeutico, ripercorre il mito di Dioniso alla luce degli studi di Jung, Hilmann, Lacan, Kerényi, Otto, Graves, Colli, alternando le ricerche psicoanalitiche con quelle di antropologi e mitografi classici. Anche lui, come altri studiosi, è convinto che, nel mondo greco e nei suoi miti, esistano le risposte giuste, non solo alle contraddizioni di oggi, ma anche a quel mondo labirintico dentro il quale hanno sede le nostre ossessioni. Lo stesso Dioniso era legato al labirinto, quello di Minosse, Arianna e Teseo, quest’ultimo poté liberarsene grazie al famoso filo, ovvero grazie a quel processo di conoscenza e di libertà che lo trarrà fuori dall’incubo dello smarrimento. Anche la nostra psiche quando si ammala vive l’esperienza del labirinto da cui potrà uscire facendo ricorso al filo dell’analista che la aiuta a svelare la parte più nascosta di sé, quella che ha smarrito, quella che la pone davanti allo specchio che, nell’orizzonte semantico, osserva Fama: “si fa simbolo di una molteplicità di aspetti esistenziali che toccano l’identità e la differenza, l’immanenza e la trascendenza, l’illusione e la conoscenza, il reale e l’immaginario”. Il tema dello specchio è legato a quello del doppio, del vedere e dell’essere visto, dell’essere e del credere di essere, della realtà che si smembra pirandellianamente in “Uno, nessuno e centomila”.
Lo smembramento a cui è sottoposto Dioniso allude proprio alla pluralità della nostra identità e come Dioniso fu ricomposto dalla grande madre Rea, alla stessa maniera, la nostra psiche smembrata, potrà essere ricomposta dall’analista il quale, durante il lavoro di ricomposizione, non può non ripensare al culto dionisiaco in cui gli opposti come gioia e dolore, desiderio e distacco, vita e morte finiscono per incontrarsi.
Il complesso mitico archetipico sembra, quindi, strutturarsi attorno allo spazio del labirinto che è anche uno spazio a spirale, contorto, nebuloso, proprio come la nostra psiche, quella della vita incarnata che, spesso, sperimenta drammaticamente lo smarrimento e le molteplici trasformazioni che avvengono durante il viaggio nella selva oscura della mente, simile a quella labirintica, già presente nei misteri primitivi e che oggi la si vede come corrispondente di quei processi analitici che diventano una sorta di iniziazione ai misteri della psiche, i quali, pertanto, non sono oscuri contenuti, bensì spazi simbolici del nostro immaginario gestito da un rituale che trova corrispondenza nello spazio terapeutico.
Se il labirinto è il luogo del disorientamento, della perdita della guida e, quindi, della salvezza, il gioco potrebbe essere il mezzo di riscatto, proprio perché la dimensione ludica appartiene all’essere umano che, sostiene Fama, attraverso il gioco, può uscire dal labirinto e trovare il centro di sé. Quando ciò non accade, l’irrazionale e la tragedia prendono il sopravvento.
Ugo Fama, “Lo specchio di Dioniso”, Ed. Moretti & Vitali, 2015, pp. 216, € 20