(di Andrea Bisicchia) Da tempo, la storiografia cronologica e annalistica ha ceduto il passo a una storiografia tematica, costruita non più sulle date, bensì su “categorie” o su ritrovamenti che riguardano, nel nostro caso, l’oggettistica, nel senso che, si può fare storia ricostruendo, sin dalle origini, l’evoluzione, nel tempo, di categorie come: sacro, scienza, economia, potere, oppure di singoli oggetti, in particolare di quelli circolari.
Nel suo libro: “L’anello della verità”, edito da Adelphi, Wendy Doniger, docente di Storia delle religioni all’Università di Chicago, studiosa di sanscrito e della letteratura indiana, dimostra come, partendo dagli anelli e dalla loro simbologia, si possa interrogare il passato, quello mistico, folklorico, fiabesco, teatrale, e confrontarlo con il presente, grazie a opere narrative, cinematografiche che hanno costruito trame avvincenti, ricorrendo alle presenze e agli smarrimenti di anelli e di gioielli.
Si tratta di una lettura affascinante, non solo per la ricchezza dei rimandi alle tante storie raccontate, ma anche per la smisurata conoscenza, soprattutto, antropologica, di eventi reali e immaginari che sono stati costruiti attorno agli anelli. All’India, l’autrice dedica solo un capitolo, il terzo, quello che riguarda i gioielli di Sita, l’anello di Bodhisattva, quello di Shakuntala, mentre gli altri dieci capitoli li dedica alla storia e ai significati degli anelli in Occidente, all’uso che veniva fatto dai greci e dai romani, ricordando Menandro, autore di “L’arbitrato” e Terenzio che, ispirandosi proprio a quella commedia, scrive “La suocera”, le cui storie sono costruite sul ritrovamento di un anello, oggetto che, negli “Amori” di Ovidio, assume valenze sessuali, dovute all’analogia tra l’atto di infilzare un dito nell’anello e l’atto dell’organo sessuale.
Largo spazio, la Doniger dedica agli anelli nella letteratura medievale francese, tedesca, inglese, con particolare riguardo al ciclo di Re Artù, di Ivano e di Tristano e Isotta, a quello dell’Anello del Nibelungo, o ad alcune tragedie di Shakespeare, come “Cimbelino”, “Racconto d’inverno”, “Il mercante di Venezia, con le loro infinità di trame che hanno a che fare col meraviglioso, per l’andamento tragico e fiabesco, a dimostrazione delle capacità interdisciplinari dell’autrice che mette il lettore a contatto con i miti del passato e del presente, ricostruendo le varianti o le rivisitazioni che sono state fatte lungo i millenni, come a sottolineare che le narrazioni mitiche siano quelle che sopravvivono ai tempi, con le loro avventure che si rinnovano e che si adattano, moralmente, alle trasformazioni sociali, ai luoghi e alle epoche.
Gli anelli, di cui la Doniger ci racconta, sono anelli di sovrani, di papi, di cavalieri, di senatori, intrecciano storie in una specie di caleidoscopio che ci trasferisce nella nostra età dell’innocenza, quando, anche noi giocavamo, inventandoci degli anelli magici.
La Doniver ha rovistato anche tra le barzellette, alle quali dedica un capitolo, che, a modo loro, tramandano storie di anelli, ne ricordo una: “Che differenza c’è tra la prima moglie e l’ultima? Con la prima moglie i gioielli sono falsi, con l’ultima gli orgasmi sono veri”.
La studiosa è convinta che le storie non cambino le società, ma che possano aiutarci a immaginare un tipo di mondo più umano, per il quale tutti dovremmo adoperarci, un mondo non corrotto, più attento ai problemi morali. Ecco il motivo per cui l’uomo ricorre ai miti che, con le loro storie, possono riuscire a trasformare un mondo immorale in un mondo giusto, onesto e, perché no, anche eroico. In fondo, i miti sono i luoghi del nostro fantasticare, per questo appartengono all’irrazionale, il solo rimedio alla iconografia di un mondo corruttibile e corrotto.
Wendy Doniger, “L’anello della verità”, Ed. Adelphi 2019, pp. 397, € 38