(di Andrea Bisicchia) – La narrativa italiana, in questi ultimi anni, ha riscoperto il Romanzo storico, non quello a sfondo epico, bensì quello a sfondo familiare, con le sue lunghe saghe, condite di storie intime che contengono, spesso, un fondo di verità. A livello nazionale, tale genere sta riscuotendo un certo successo, come è accaduto per i recentissimi “I leoni di Sicilia” di Stefania Auci e come sta accadendo con “La casa dell’argine” di Daniela Raimondi.
Elvira Siringo si è inserita in questa tipologia narrativa, col romanzo “L’ultima erede di Shakespeare”, Piemme edizioni, utilizzando una verosimile scoperta, avvenuta negli Anni Trenta, e riproposta in una trasmissione televisiva di un certo richiamo, curata da Paolo Giacobbo, dove si sostenevano i natali siciliani di Shakespeare, risalenti a un ramo dei Florio di Messina che, dopo tante peregrinazioni, avevano trovato ospitalità a Londra.
Non c’è dubbio che, dinanzi a una simile notizia, il mistero abbia preso il sopravvento, tanto da diventare, per la Siringo, materia del romanzo, la cui costruzione binaria, che alterna il passato col presente, si colora di “giallo”, mettendo il lettore in difficoltà nel distinguere il vero dal falso. L’autrice è una esperta della poesia shakespeariana, avendo pubblicato “Il codice Shakespeare”, tanto da disseminare parecchi sonetti lungo la narrazione, inoltre si è alquanto documentata sulla storia inglese della seconda metà del Cinquecento, pertanto non le è stato difficile confrontarla con quella siciliana dello stesso periodo, per poter ricostruire le avventure dell’ultima erede di Shakespeare, consultando tutte le fonti possibili per poter dare sostanza alla sua forza fantasmatica, grazie alla quale i tanti protagonisti delle vicende raccontate sono immersi in avvenimenti con delle trame non del tutto immaginifiche.
L’ autrice è ben consapevole di muoversi su eventi che sono il frutto di ricerche a-posteriori, nel senso che le stesse notizie riguardanti la vita del bardo, sono apparse lacunose persino ai più accreditati studiosi della sua biografia , alcuni dei quali si sono chiesti come mai il drammaturgo abbia avuto conoscenze così profonde delle città italiane, nelle quali ha ambientato le vicende di tante sue commedie, convenendo sull’ipotesi della sua nascita in Sicilia.
In quanto scrittrice del romanzo, Elvira Siringo ha voluto formulare una sua ipotesi, costruita su un intreccio, i cui protagonisti provengono dalla storia, dall’esoterismo, dalle religioni, dal cinema, tanto da aver a che fare con James Bond, in arte Sean Connery, chiamato dalla Regina Elisabetta, perché scoprisse la verità dei fatti, onde evitare, per l’Inghilterra, una vera e propria tragedia, nel caso il loro poeta nazionale fosse veramente nato a Messina, da Giovanni Florio, stimato medico ebreo, e dalla nobildonna Emma Crollalancia, ritenuti i genitori di Michelangelo, ovvero Will, il possibile Shakespeare.
Elvira Siringo fa iniziare la sua storia a Messina, nel 1580, inventandosi un dialogo tra l’editore Filippo Spira e suo fratello, costruito sul testo “Troppo traficu ppi nenti?”, di un certo Michele Agnolo Florio Crolla Lancia. Il titolo della commedia, di cui discutono, non può non far pensare a “Molto rumore per nulla”, pertanto scoprire l’autenticità del manoscritto diventa fondamentale per accreditare il nome di William a quello di Michele Angelo. Filippo Spira considera il testo scritto in siciliano, un “po’ volgaruccio e stravagante” e ritiene che sia un rischio pubblicarlo, un rischio che, però, valeva la pena correre. A parte questo incipit, il primo capitolo ricostruisce il ramo dei Florio in una Messina centro dell’attività economica siciliana, dove approdano navi commerciali che scaricano merci di tutti i tipi e dove Michelangelo ha appena sedici anni, già bravo a comporre versi e, nello stesso tempo, a mostrare il suo innamoramento per teatro, in questo non assecondato dal padre che gli rimproverava di voler diventare un buffone di corte.
Con un volo pindarico, la Siringo ci trasferisce nella corte della Regina Elisabetta, durante un incontro segreto con l’Agente 007, mettendolo al corrente del compromettente manoscritto, in possesso di Elisabeth, la nipote e, allora, unica erede di Shakespeare, rimasto in qualche biblioteca degli ultimi eredi dei Florio. Si tratta di conoscere la verità, anche su alcuni diari che si trovavano in suo possesso, le cui notizie, se fossero corrisposte al vero, si sarebbero trasformate in un “congegno a orologeria da disinnescare per la salvezza universale”. Per la corona inglese, insomma, è una questione di vita o di morte.
Con tale materia, la Siringo crea una situazione che, per essere sbrogliata, ha bisogno della presenza dell’Agente 007, ma fa in modo che il romanzo storico conviva col romanzo giallo e con quello di avventura, dove c’è persino il morto, il professore in possesso di documenti importanti, il cui cadavere fu trovato nel suo albergo, dove venne anche rinvenuta una cartella, con fogli di poesie scritte in un siciliano antico, che verrà consegnata a Elisabeth, la quale, dopo averle lette, vorrebbe farne un dono al mondo intero. Partendo da qui, la Siringo accompagna il lettore sulle tracce di una storia che, dal secondo Cinquecento arriva ai giorni nostri, con una scrittura che contiene il ritmo avvolgente dei fatti raccontati.
Elvira Siringo, “L’ultima erede di Shakespeare”, Piemme edizioni 2020, pp. 576, € 20.