MILANO, mercoledì 5 novembre
(di Paolo A. Paganini) – Luogo di rituale socialità, di confronti intellettuali, fucina di stimoli culturali, di finezze dialettiche, d’impareggiabili occasioni di crescita e di alte e civili conoscenze: il teatro. Può anche essere solo l’occasione per un tributo d’amore, per un atto di riconoscenza. Facevamo queste modeste considerazioni al Piccolo Teatro, nella vecchia sede di Via Rovello, tempio di ricordi e di spettacoli per intimi raccoglimenti. Qui si è celebrato il ritorno di Anna Marchesini sulle scene. Ha presentato il monologo “Cirino e Marilda non si può fare”, nel senso di “questo matrimonio non s’ha da fare”.
La storia. Cirino Pascarella è un modesto professore a riposo, grigio ma non decrepito, che vive al settimo piano della pensione della signora Olimpia, la quale ha una figlia, Marilda, ormai non più di primo pelo. Olimpia vorrebbe appioppargliela in moglie. Ma Cirino è un uomo strano, che vive in un suo mondo d’inedie, di passioni mummificate, di abitudinarie consuetudini: la passeggiata in riva al mare, il rientro alla pensione al primo calar della sera, il fugace saluto al meccanico sotto casa, il rinchiudersi nella sua povera stanza 4 x 6. E soprattutto sbarrare la porta all’invadente e insistente Olimpia, che trascina la sua poderosa mole fin davanti alla sua porta, per avvisarlo che la cena è pronta, e, se vuole, gliela porta in camera la Marilda, ché non si sa mai… Ma lui nemmeno risponde, perché, nella sua solitudine, coltiva un improvviso risveglio dei sensi, dopo una vita che gli è passata davanti senza che lui potesse o volesse conoscerla. Nel palazzo di fronte, in una stanza illuminata nella notte, scopre un giovane bello e muscoloso, del quale immagina esperienze, incontri, insomma una vita vissuta. E di notte in notte, come tenesse fra le dita il filo d’un aquilone, immagina di essere lui il demiurgo che fa vivere quello sconosciuto giovane, che gli fa provare esperienze ed incontri. Come se li vivesse lui stesso… Povero professore, finirà forse squinternato a vagare per la città guardando in su, oltre gli alti alberi, o forse imbarcato per chi sa quali lidi.
Il testo, scritto per il teatro, fa parte del libro “Moscerine” della stessa Marchesini, che adesso, in un’ora e dieci, ne fa una intensa lettura scenica, con la presenza d’un trio di sax chitarra percussioni (Marco Collazzoni, Martin Diaz, Saverio Federici) a sottolinearne i passaggi di più lirica pregnanza. Anna Marchesini è malata: una maledetta artrite reumatoide, che l’ha prosciugata, rinsecchita. Ma non domata nella sua volontà di donarsi ancora al teatro, dove, infatti, ora, in un’accensione di adrenalitica esuberanza, tra struggimenti e divertite caricature, dà vita all’Olimpia e al Cirino, divisi e incomunicabili tra la porta di una stanza e il corridoio, perché, tutto sommato, la vita, a ben guardare, non è unione, è divisione, ciascuno coltivando un mondo di attese e di speranze, che lasceranno ceneri e detriti, rinunce delusioni e dolorose nostalgie.
Ma dicevamo all’inizio che il teatro “è anche l’occasione per un tributo d’amore, per un atto di riconoscenza”. Lei, Anna Marchesini, ha ora offerto, ancora una volta, il suo “tributo d’amore” al teatro. E il pubblico, in platea, ha contraccambiato con un “atto di riconoscenza”: tutti in piedi, in una interminabile standing ovation, tra commozione e gioia di esserci.
“Cino e Marilda non si pò fare”, di Anna Marchesini. Al Piccolo Teatro di Via Rovello, Milano. Repliche fino a domenica 16.