(di Emanuela Dini) La “lente delle meraviglie” può essere quella della macchina fotografica che Robert Doisneau bambino riceve in regalo dal fratellastro a 7 anni, oppure quella della sua visione del mondo, mirata a ritrarre le meraviglie della vita quotidiana, con uno sguardo romantico, incantato e positivo.
Robert Doisneau (1912-1994), oggi considerato uno dei più grandi fotografi, ma diventato famoso quando aveva già 70 anni, viene raccontato con grande affetto e tenerezza da sua nipote, Clementine Deroudille, in questo film-documentario che ne racconta tutta la vita, svelandone il lato umano e più di un segreto professionale, e presentando una gran quantità di immagini inedite e inaspettate, scelte tra gli oltre 350.000 negativi conservati con cura e catalogati con ordine e amore.
La voce narrante della regista parte dai suoi ricordi di bambina «vivevamo tutti insieme nella casa del nonno, e lui “usava” noi bambini e tutti i familiari come modelli per le sue foto pubblicitarie», ne racconta l’infanzia ribelle in periferia, il primo lavoro come fotografo ufficiale nella fabbrica di auto Renault, la casa trasformata in laboratorio «la vasca da bagno serviva per tenere a mollo le fotografie e noi potevamo fare il bagno solo la domenica», i primi reportage, il suo metodo di lavoro, le amicizie, il successo tardivo.
E così si scopre che la più celebre foto del nonno, quel “Bacio all’Hotel de la Ville”, riprodotta massiciamente in ogni dove, su poster, magliette, borse, magneti e persino tatuata su robuste cosce maschili, non è affatto uno scatto rubato di due giovani innamorati, ma una foto studiata a tavolino per un servizio commissionato nel 1950 dalla rivista americana Life e costruita come un vero set, ingaggiando due attori che hanno recitato il ruolo dei fidanzati in ogni angolo di Parigi.
Così come sapientemente studiate e costruite sono le sue fotografie delle periferie parigine, i volti delle persone ritratte ai tavolini dei bistrot, gli scorci architettonici, i ritratti dei nipoti con la rielaborazione degli sfondi in una sorta di antesignano Photoshop. Niente a che vedere con l’attimo fuggente, insomma, ma studio, attenzione, cura dei dettagli, passione e mestiere. Così come curatissime e studiate sono le immagini a colori – insolite, per Doisneau grande estimatore del bianco e nero – di un reportage negli Stati Uniti nel 1960, dove un gruppo di tre cowboys, uno di fronte, uno di spalle e uno di profilo evocano praterie, grandi spazi e tutto l’immaginario collettivo del Far West.
Il film presenta, poi, foto e filmati di una Parigi che non c’è più, come il mercato di Les Halles, che era una delle sue fonti di ispirazione; documenta le amicizie più strette di Doisneau, le passeggiate per Parigi con Prévert, gli incontri con Daniel Pennac; ma testimonia anche le sue insofferenze negli ambienti in cui si sentiva a disagio, come quando dovette cimentarsi nelle foto di moda o nei fastosi ricevimenti del jet-set.
«Curioso, disobbediente e paziente, così deve essere un fotogafo», è la definizione che Doisneau dava della professione, e il ritratto che ne esce dalle parole della nipote e dai ricordi delle figlie – che ancora vivono e lavorano nella casa dove sono cresciute – è quella di un uomo attento ed entusiasta, innamorato del proprio lavoro e della sua famiglia, che ha immortalato con passione e in bianco e nero momenti di vita, volti e persone, angoli di città regalandoli al mondo attraverso la sua personalissima e magica “lente delle meraviglie”.
Mostra o film/documentario? Diciamo Robert Doisneau, la lente delle meraviglie, raccontato dalla nipote Clementine
13 Giugno 2017 by
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