(di Andrea Bisicchia) Sono parecchi i termini con i quali si dà il nome a una comunità: volgo, plebe, massa, popolo, cittadino. Manzoni, dinanzi all’incapacità degli italiani a riscattarsi dalla servitù, li chiamò : “quel vulgo disperso che nome non ha”. Il volgo è indistinto, come la massa, lo stesso si può dire del popolo che non si sente di essere cittadino, benché rappresenti un corpo politico complessivo e indistinto, qualità che mantiene ogni qualvolta si scopre utilizzato, per fini politici, in maniera, spesso, indecente. Pensate a quante nefandezze abbiamo assistito quando i politici hanno utilizzato e continuano a utilizzare la formula: “In nome del popolo sovrano”, nefandezze che hanno coinvolto, non solo la politica, ma anche, in parecchi casi, la magistratura, per le quali il popolo continua e essere bue.
Il passaggio da popolo a populismo è quasi automatico, solo che oggi, secondo Alessandro Dal Lago e altri sociologi, il popolo non è più un oggetto politico, misurabile nel momento in cui ha scelto di essere protagonista nella Rete, ovvero da quando ha cominciato a decidere, utilizzando l’unico mezzo che gli abbia permesso di partecipare al circolo mediatico, credendo, in questo modo, di aver trovato uno spazio di libertà e di potere influire direttamente nella vita politica e di contribuire, nel frattempo, a generare quella imprevedibilità elettorale resa più incerta e, a volte, drammatica dall’era digitale, tanto da mettere in crisi l’attività dei sondaggisti che ormai vengono considerati poco credibili, anche perché, l’uso del sondaggio, è stato trasformato, in maniera sofisticata, in una particolare forma di schieramento sia a destra che a sinistra.
Oggi, sostiene Dal Lago in “Populismo digitale”, Cortina editore, la Rete è diventata l’unico luogo dove si elabora la maggior parte delle scelte decisive per la vita pubblica, contrapponendosi alla carta stampata, quando è in mano a dei demagoghi.
Chi ha scelto la Rete crede di essere meno demagogo e di potere influenzare i propri elettori senza manipolarli, come accadrebbe con altri organi d’informazione. Il nuovo pilota è Internet, capace di far credere ai cittadini di essere loro a decidere e, quindi, di partecipare attivamente alle trasformazioni politiche. Ormai è noto che stiamo assistendo a un uso sempre più spregiudicato di quella che viene definita la Rivoluzione digitale, la sola che, si crede, permetta la circolazione della libera informazione e di potere fare esprimere opinioni alternative. Dal Lago ha dei dubbi sulla libertà concessa dalla Rete, perché, a suo avviso, questa è dominata dai padroni del Web, ovvero dai motori di ricerca, social, network e aziende di commercio, come quella del Movimento Cinque Stelle.
Esistono, pertanto, dei presupposti ai quali l’utente di Internet non bada, tanto da confondere la libertà teorica con la libertà pratica, la verità con la simulazione. A questo punto, la formula nefanda “In nome del popolo sovrano” diventa: “In nome della Rete sovrana”, capace di offrirti l’illusione di una propria e indistinta libertà, che risulta fasulla e che consente a leader spregiudicati di utilizzare la categoria di popolo a suo piacimento. Questi leader, da Trump alla Le Pen, da Grillo a Salvini hanno perseguito un solo compito, quello di disfarsi dei partiti, del resto già moribondi, e di dialogare direttamente col cittadino, offrendogli degli slogan che riguardano la sicurezza, l’immigrazione, il protezionismo economico, mentre, per quanto ci riguarda, l’Italia va a rotoli per ben altri motivi.
Alessandro Dal Lago, “Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra”, Cortina Editore 2017, pp 170. € 14