(di Marisa Marzelli) Il cinema italiano continua a sonnecchiare, con punte di catalessi, finché non arriva il nuovo film di Checco Zalone: la manna dal cielo. Vagonate di biglietti venduti, d’incassi e di rassicurazioni sul rilancio della cinematografia nazionale. Purtroppo non è così. Il fenomeno Zaloneri dà un po’ di fiato ai botteghini ma non fa da traino a nulla. Resta da stabilire perché la comicità di Luca Medici (in arte Checco Zalone) abbia un tale successo. In parte per merito: l’attore è riuscito a farsi largo con un suo stile nel magma di commediette, farse, cinepanettoni incentrati su risate grasse e vizi italici; in parte perché i suoi film hanno imparato ad adottare (pur limitatamente al mercato nazionale) le aggressive strategie promozionali e distributive dei blockbuster internazionali. Certo è che davanti ai grandi numeri degli incassi anche le critiche sulle reali qualità del prodotto si fanno caute.
Dopo la sorpresa di Cado dalle nubi (2009), la progressione di Che bella giornata (2011) che ha incassato 43 milioni di euro, il trionfo di Sole a catinelle (2013), con 52 milioni d’incasso, questa quarta pellicola Quo vado?, diretta come le altre da Gennaro Nunziante, uscita il 1° gennaio, sta macinando record quotidiani e probabilmente batterà il primato del titolo precedente. Ma uno Zalone non fa primavera, nel senso che richiama nelle sale molti spettatori che al cinema, durante l’anno, non ci vanno mai, sono stati sollecitati e bombardati dall’oculata pubblicità e non hanno termini di paragone per poter dire che, sì, la comicità di Checco Zalone è la migliore. E poi, migliore rispetto a che cosa? Caso mediatico, sociologico, modaiolo, il suo cinema propone un po’ di satira, un po’ di qualunquismo, un po’ di simpatia attorno al generico luogo comune degli italiani mammoni, fannulloni, maschilisti, provinciali, socialmente incivili ma in fondo con tanto cuore e umanità. In questo guazzabuglio è difficile individuare un’idea dominante nello Zalone-pensiero (lui, oltre ad essere protagonista assoluto nei suoi film, forte della fama ottenuta come cabarettista e comico televisivo, è anche co-sceneggiatore), ma tutti riescono ad apprezzare una gag, una situazione, una critica e – nel caso di Quo Vado? – un finale idealista e rassicurante, sebbene in contrasto con il carattere furbetto del personaggio tratteggiato per tutto il resto del film.
Protagonista è un 38enne ancora a carico dei genitori, impiegato niente affatto modello all’ufficio caccia e pesca della provincia. Ufficio sotto casa, dove arriva regolarmente poco prima di mezzogiorno perché qualcuno gli ha nel frattempo timbrato il cartellino, eterna fidanzata che non pensa di sposare perché non vuole le responsabilità di padre di famiglia e, soprattutto, fede incrollabile nella sicurezza del posto fisso. Sennonché, un brutto giorno, vengono abolite le province e pure il suo posto. La funzionaria addetta a liberarsi di lui (spiritosa Sonia Bergamasco nel prendere in giro il suo cliché di attrice impegnata) gli propone una buonuscita, ma Zalone rifiuta, disposto a trasferirsi nelle sedi più scomode e improbabili pur di non mollare. Si ritroverà così al Polo Nord, al seguito di una missione ambientalista italiana tra gli orsi polari. Qui s’innamora di una ricercatrice (Eleonora Giovanardi) e per amor suo scopre le gioie della società nordica progressista: educazione civica, famiglie allargatissime, niente gelosia, tolleranza, ecc. Ma la nostalgia canaglia fa brutti scherzi e gli basta vedere in tv la reunion di Albano e Romina al Festival di Sanremo per voler tornare a casa. La narrazione è però strutturata come un flashback che Zalone racconta ad uno sciamano in Africa, c’è dunque il pretesto per il finale poco convincente ma politicamente corretto di cui si diceva.
Tutto in Quo vado? è al servizio dell’ormai consolidata maschera di uno Zalone meridionale ignorante e candido ma anche profittatore e menefreghista. Non vittima come Fantozzi; non inquietante come il Cetto La Qualunque di Albanese; non inarrivabile come i Sordi, Gassman e Tognazzi della commedia all’italiana dei tempi d’oro, di cui però qui emerge ad intermittenza la celebre vena di cattiveria. I rimandi sono molteplici, da un’imitazione del Celentano predicatore alla presenza tra i comprimari di due rappresentanti della commedia ridanciana come Lino Banfi e Maurizio Micheli. A onor del vero, però, Quo vado? evita di pescare nei doppi sensi e nelle volgarità dei cinepanettoni, dribblando quasi sempre le cadute di stile.
Nel sonnecchiante panorama del cinema italiano Zalone fa centro con un rassicurante filmetto innocuo e qualunquista
3 Gennaio 2016 by