Nella casa del padre arriva un satanasso che seduce tutte le donne di casa

Milano. Massimo Popolizio e Marco Foschi in una scena di “Visita al padre”, con la regia di Carmelo Rifici, al Piccolo Teatro Studio (foto Marasco)

Milano. Massimo Popolizio e Marco Foschi in una scena di “Visita al padre”, con la regia di Carmelo Rifici, al Piccolo Teatro Studio (foto Marasco)

(di Paolo A. Paganini) La vicenda è presto detta. Un figlio, dopo oltre vent’anni, fa visita alla casa del padre, un mediocre professore tutto dedito all’epica e vana traduzione dall’inglese dei dodici libri del “Paradiso perduto”, dove John Milton narrava la vendetta di Satana, portatore di morte e dannazione come pena per la disobbedienza del frutto proibito. Il figlio, che arriva non si capisce bene da dove, forse dall’America, non sarà un arcangelo Michele che annuncia, con la venuta del Messia, redenzione e salvezza. Sarà piuttosto un perfido Satana, assetato di vendetta, essendo il frutto illegittimo di una ragazza, sedotta a sedici anni dal nostro traduttore. Ora vuol fargliela pagare. Ma il padre, come un innocente Adamo, non sapeva nulla di questa paternità, che la giovane madre gli aveva sempre nascosto (e rivelata al figlio solo in punto di morte).
Ora, il già attempato genitore accoglie il giovane con ingenua e gioiosa ospitalità. Qui, nella casa del padre vivono la moglie, due figlie, una nipote, una professoressa in visita con figlia… Per farla breve, come la propria madre-bambina fu vittima di una seduzione, così ora verranno sistematicamente, scientificamente, freddamente, indifferentemente sedotte, giovani e meno giovani: una strage sessuale dell’harem paterno. Quando alla fine la tragedia incombe tra minacce di fucile e furor di coltelli, il giovane se ne andrà per sempre, lasciando dietro di sé dannazione e infelicità. Senza la speranza d’un Messia.
In quasi due ore e mezzo con un intervallo, “Visita al padre”, del quarantasettenne drammaturgo tedesco Roland Schimmelpfennig, al Piccolo Teatro Studio, è decantata come “l’identità negata delle nuove generazioni”, e recita, onesto e veritiero sottotitolo, “scene e bozzetti”. In realtà, mancando una logica narrazione sequenziale, non è un dramma, non una tragedia, non una commedia, non una satira. Dovrebbe essere, visto l’assunto, “teatro politico” o “teatro documento”: né l’uno né l’altro. Frantumato in una serie di performance con la vocazione del monologo, ne rivela tristemente la sindrome, risultando spesso una successione di sfoghi e di ragioni personali. E la tesi unitaria, sullo sbandamento dei giovani nell’isola delle sperdute identità, e degli anziani, incapaci di ricordare il passato e di vivere il presente, tesi unitaria e di drammatica attualità, che qui dovrebbe essere tenacemente sostenuta, e sostenente, si schianta frantumandosi in una congerie d’incandescenti spezzoni anche di possente e suggestivo impatto, ma spesso sfuggenti e incomprensibili, in questa maledetta acustica del Teatro Studio o in questa ormai incapacità attoriale di tirar fuori e sostenere la voce.
La regia di Carmelo Rifici è di ottima impostazione, grazie anche alle belle scene di Guido Buganza. Massimo Popolizio, maschio dominante scalzato dal figlio (Marco Foschi) e Anna Bonaiuto (la moglie) sono la terna (con)vincente di questo ambizioso allestimento. Generoso e partecipe il resto dell’harem: la molto concupita Alice Torriani, Sara Putignano, Mariangela Granelli, Caterina Carpio, Paola Bigatto. Calorosi applausi.
“Visita al padre”, di Roland Schimmelpfennig, regia di Carmelo Rifici. Piccolo Teatro Studio, Via Rivoli, Milano. Repliche fino a domenica 16 febbraio.