MILANO, mercoledì 28 novembre ► (di Paolo A. Paganini) La sentenza medica non lasciò speranze. Cieco. Con una leggerezza tenera e sfrontata, Gianfranco Berardi l’accettò, pensando più al dolore del padre che a se stesso. Il papà sognava di farne un operaio come lui, all’Ilva di Taranto, ma Gianfranco voleva fare l’attore. A Gianfrà, il teatro è una passione, poi… passa. Ma, intanto, eccolo lì, a Oxford, in una famosa clinica oculistica, parlando ed ascoltando in inglese. Tanto il papà non capiva. E arrivò la sentenza: Laber, una rara atrofia del nervo ottico, che porta inesorabilmente alla cecità. Prima della visita, avevano detto a Gianfranco, se è la Laber, non c’è niente da fare, se è qualcosa d’altro si può intervenire. Se è Laber non costa niente, se c’è da intervenire, costa venti milioni di lire. Uscendo dalla visita medica, il papà, che l’aveva accompagnato e che non aveva capito, era ansioso di sapere. E allora? Allora tutto bene, papà. Abbiamo risparmiato venti milioni. Chi ha deciso di mettere questa battuta, è un genio. Dio, che groppo. E fu allora che Gianfranco vide per la prima volta il papà piangere. E fu allora che, come in un gioco di sublime amore, sorridendo, gli fece forza, dicendo che non cambiava niente, dicendo che la storia era piena di grandi uomini ciechi, e che “la vita è ciò che sentiamo, non ciò che vediamo”…
E il gioco continuò. Anche dopo. Con lo stesso amore. Gianfranco divenne attore, come voleva.
Ora, è all’Elfo Puccini, con lo spettacolo “Amleto Take Away”, che, detto in parole povere, nella nostra guerra personale contro il colonialismo linguistico inglese, possiamo bellamente tradurre con: “ciapa e porta a cà”. E infatti, dopo un’ora caudata (Gianfranco scende in platea, in un’allegra cabarettata con il pubblco: parla a una poltrona vuota e bacia in fronte un anziano canuto signore come fosse un fanciulla in fiore), e si “porta a cà” uno strepitoso applauso finale, quasi dimentichi, tutti, della sua “spensierata” cecità.
Insieme con lui c’è Gabriella Casolari, coautrice del testo e presente come una specie di “servo di scena”, anzi, molto più: crea segni connotativi, passaggi di riferimento, sistemando oggetti di scena, panche, secchi, corone e collane, che consentono all’attore di muoversi e di agire con precisi punti di riferimento, come se niente fosse.
Ed è stupefacente.
Come un folletto matto alla Benigni vecchi tempi, oppure con l’allegra impertinenza di un comico da varietà. Ma è solo un atteggiamento formale, nel senso che la vita va presa com’è, perché, in realtà, non c’è niente da ridere, e il mondo è fatto solo di “piccoli uomini feroci”, avidi ed egoisti, fatui e cretini, con i loro telefonini, con i loro messaggini, facendo finta di essere felici e di avere tanti amici, ai quali, per illudersi, basterà solo un “mi piace”. E, nella cecità dell’anima, non ci si accorge più delle grettezze, delle vanità, in un universo di automi, indifferenti a qualsiasi dubbio, incapaci di scegliere tra “essere o no”. E così si preferisce apparire, più che essere, più perdenti che vendicatori (costa meno), perché non c’è più niente da vendicare. Amleto continuerà mandare Ofelia in convento, ma finirà poi in altri gorghi, e lo zio continuerà a scoparsi sua madre.
Così va il mondo.
Tutti soli, senza nessuna complicità, perché, per essere complici, bisogna avere un complice. Allora, tanto vale essere complici solo di se stessi, accettando le proprie cecità, che consentono di vedere nel profondo dell’anima, di vedere ciò che gli altri non vedono. Come una condanna, senza alternative, se non il conforto d’una accettata solitudine, su un Golgota dove ciascuno è solo con la propria Croce.
Quella di Gianfranco Berardi è di essere inchiodato, nel bianco deserto della cecità, ai cordoni del palcoscenico. In attesa che qualcuno lo liberi dai legacci e lo faccia scendere. E Gabriella Casolari gli dà quella mano che Gianfranco attende, quando comincia e quando finisce lo spettacolo. Un’icona bella come una sacra rappresentazione. E commovente come un divino gesto di umana pietà e di sublime amore.
“Amleto take away”, di/con Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari. Musiche Davide Berardi e Bruno Galeone. All’Elfo Puccini, corso Buenos Aires 33, Milano. Repliche fino a domenica 9 dicembre.
www.elfo.org
Tournée
15 dicembre: Calenzano (Firenze); 12 gennaio: Sinnai (Cagliari); 18 gennaio: Bari; 2 febbraio: Rimini; 21 febbraio: Rubiera (Reggio Emilia); 23 marzo: Fontanellato (Parma); 28-30 marzo: Roma (Teatro Quarticciolo)